LETTURE DA BERTOLT BRECHT
(Scelte da Ezio Beccaria)
Der Krieg, der kommen wird
Ist nicht der erste. Vor ihm
Waren andere Kriege.
Als der letzte vorüber war
Gab es Sieger und Besiegte.
Bei den Besiegten das niedere Volk
Hungerte. Bei den Siegern
Hungerte das niedere Volk auch.
(Der Krieg, der kommen wird)
I
Bertolt Brecht nacque ad Augsburg (Augusta) in Baviera il 10 febbraio 1898 in una famiglia borghese. Il padre era cattolico e la madre protestante: Bertolt fu educato nella fede di quest’ultima, ricevendone una indelebile impronta.
Di carattere chiuso e con frequenti problemi di salute, frequentò il Realgymnasium ottenendo, nel 1917, il Notabitur (diploma concesso anzitempo agli studenti in procinto di arruolarsi).
Tra il 1913 ed il 1915 cominciò a comporre poesie e scritti patriottici ed entusiasti per la guerra, ma già nel 1916, in un tema sul verso Dulce et decorum est pro patria mori di Orazio, espresse un giudizio negativo sulla morte eroica, rischiando l’espulsione da scuola.
Nel 1917 si iscrisse all’Università di Monaco di Baviera, frequentando irregolarmente Scienze naturali, Medicina e Letteratura. Presto fu arruolato come infermiere rimanendo peraltro al fronte solo un mese.
Del 1918 è Die Legende vom toten Soldaten (La leggenda del soldato morto), una delle più crude satire antimilitariste mai scritte, che attirerà su Brecht l’odio dei nazisti.
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Da LA LEGGENDA DEL SOLDATO MORTO
E siccome non c’erano speranze
di pace dopo quattro primavere,
il soldato tirò le conseguenze:
da eroe volle cadere.
Ma la guerra non era ancora in porto,
per questo al Kaiser spiacque
che il suo soldato se ne fosse morto:
in anticipo gli parve.
Mentre l’estate sfiorava le fosse
ed il soldato dormiva di già,
la commissione medico-militare
una notte si mosse.
La commissione medica si spinse
fino al cimitero,
disseppellì con vanga benedetta
il defunto guerriero.
Ed il dottore visitò con scrupolo
il soldato o i resti del soldato.
Dichiarò che era abile ed arruolato
e si imboscava di fronte al pericolo.
Il soldato si presero con sé
nella bella notte blu.
Senza l’elmo si potevano vedere
le stelle della patria lassù (…)
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CONTRO LA SEDUZIONE
(Gegen Verführung 1918)
Non vi fate sedurre:
non esiste ritorno.
Il giorno sta alle porte.
già è qui il vento della notte.
Altro mattino non verrà.
Non vi lasciate illudere
che è poco, la vita.
Bevetela a gran sorsi,
non vi sarà bastata
quando dovrete perderla.
Non vi date conforto:
vi resta poco tempo.
Chi è disfatto, marcisca.
La vita è la cosa più grande:
nulla sarà più vostro.
Non vi fate sedurre
da schiavitù e da piaghe.
Che cosa vi può ancora spaventare?
Morite con tutte le bestie
e non c’è niente, dopo.
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RICORDO DI MARIE A.
(Erinnerung an die Marie A. 1920)
Un giorno di settembre, il mese azzurro,
tranquillo sotto un giovane susino
io tenni l’amor mio pallido e quieto
tra le mie braccia come un dolce sogno.
E su di noi nel bel cielo d’estate
c’era una nube ch’io mirai a lungo:
bianchissima nell’alto si perdeva
e quando riguardai era sparita.
E da quel giorno molte molte lune
trascorsero nuotando per il cielo.
Forse i susini ormai sono abbattuti:
Tu chiedi che ne è di quell’amore?
Questo ti dico: più non lo ricordo.
E pure certo, so cosa intendi.
Pure il suo volto più non lo rammento,
questo rammento: l’ho baciato un giorno.
Ed anche il bacio avrei dimenticato
senza la nube apparsa su nel cielo.
Questa ricordo e non potrò scordare:
era molto bianca e veniva giù dall’alto.
Forse i susini fioriscono ancora
e quella donna ha forse sette figli,
ma quella nuvola fiorì solo un istante
e quando riguardai sparì nel vento.
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II
Inizialmente il teatro di Brecht fu influenzato dall’Espressionismo, ma presto l’Autore si avvicinò al Marxismo e sviluppò la teoria del Teatro epico basata sul cosiddetto effetto di straniamento. La tecnica dello straniamento è diametralmente opposta a quella dell’immedesimazione. L’attore non dà luogo alla totale metamorfosi nel personaggio da rappresentare, mostra il proprio personaggio, mantenendo il contegno di chi si limita a suggerire, a proporre, tenendosi a distanza dal personaggio.
Del 1922 è Trommeln in der Nacht (Tamburi nella notte) ispirato dalla rivolta Spartachista di Berlino (Gennaio ’19).
Nella seconda metà degli anni ‘20 Brecht collabora con il compositore Kurt Weill.
Die Dreigroschenoper (L’Opera da tre soldi) vede la luce nel 1928.
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Da L’OPERA DA TRE SOLDI
Atto Primo
PEACHUM
CORALE MATTUTINO DI PEACHUM
Su, svegliati, marcia canaglia:
la vita del vizio ti aspetta.
Dimostra il peccato ch’hai in corpo.
Iddio, tu lo sai, non ha fretta.
Tradisci il fratello, tu Giuda!
E vendi la moglie, tu verme!
Dio vede, nessuno s’illuda,
il giorno dell’ira verrà.
Bisogna che succeda qualcosa di nuovo. Il lavoro che faccio è troppo difficile, perché il mio lavoro consiste nell’eccitare la compassione umana. Vi sono alcune cose – poche! – capaci di commuovere l’uomo, alcune poche, ma il male è che, se le usate di frequente, perdono il loro effetto. Perché gli uomini hanno la tremenda facoltà di rendersi di punto in bianco insensibili a proprio piacimento. Così per esempio avviene che un uomo, che veda un altro uomo fermo all’angolo di una strada con un moncherino al braccio, la prima volta resti così turbato da dargli senz’altro dieci penny; ma la seconda volta gli dà soltanto cinque penny, e se lo vede una terza volta, lo consegna tranquillamente alla polizia. Lo stesso accade con le risorse di ordine morale. A che servono le più belle, le più infocate massime, dipinte su allettantissimi cartelli, se vanno così presto fuori d’uso? Nella Bibbia vi sono quattro o cinque massime capaci di toccare il cuore; ma, quando se n’è cavata tutta l’efficacia, si è subito alla fame. Guardate per esempio questa: “Date, e vi sarà dato”: son tre settimane che è appesa qui, ed è già logora. Appunto, bisogna sempre offrire qualcosa di nuovo, bisogna continuare a spremerlo dalla Bibbia; ma quanto potrà ancora durare? (…)
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(…) POLLY
JENNY DEI PIRATI
Signori miei, ora mi vedete sciacquare i bicchieri e rifare i letti di tutti.
E mi date un penny e io dico grazie a mezza bocca
e vedete i miei cenci e questo albergo di cenci
e non sapete con chi state parlando.
Ma una sera si sentirà un gridare giù dal porto
e la gente chiederà: che cos’è questo gridare?
E mi vedranno sorridere vicino ai miei bicchieri
e diranno: che cos’ha da ridere, quella?
E una nave a otto vele
e cinquanta cannoni
sarà ferma nel porto.
Mi dicono: va’, lava i tuoi bicchieri, piccola,
e mi porgono il penny
e il penny viene preso
e il letto vien rifatto
(ma quella notte nessuno più ci dormirà)
e voi non sapete ancora chi sono.
Ma una sera ci sarà una mischia al porto
e la gente chiederà: che succede?
E mi vedranno allora alla finestra
e diranno: perché ride a quel modo?
E la nave a otto vele
e cinquanta cannoni
aprirà il fuoco.
Miei signori, allora finirà quel vostro ridere
perché le mura precipiteranno
e la città sarà spianata.
Soltanto un alberguccio non avrà neppure un colpo
e la gente chiederà: chi c’è lì dentro?
E quella notte si sentirà gridare vicino all’albergo
e diranno: perché l’albergo è in piedi?
E al mattino mi vedranno uscir fuori sulla soglia
e diranno: era lei che ci viveva?
E la nave a otto vele
e cinquanta cannoni
innalzerà il pavese.
E a mezzogiorno scenderanno a terra in cento
e avanzeranno nell’ombra
e prenderanno tutti, una porta dopo l’altra
e li incateneranno e me li porteranno
e diranno: chi dobbiamo ammazzare?
E quel mezzogiorno sarà silenzio nel porto
quando mi chiederanno chi deve morire.
E allora mi sentiranno dire: tutti!
E ad ogni testa mozza dirò: Opplà!
E la nave a otto vele
e cinquanta cannoni
salperà con me.
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III
Nel 1933, con la presa di potere del Partito Nazista, Brecht scelse l’esilio fuggendo prima a Praga e successivamente a Vienna, Zurigo e Parigi. Viaggiò molto tra Parigi, Londra e New York. Fu in Danimarca e Svezia stabilendosi poi negli Stati Uniti (fino al 1947, quando fu interrogato della Commissione per le attività antiamericane a causa delle sue idee politiche).
Nel 1938 va in scena Furcht und Elend des Dritten Reiches (Terrore e miseria del Terzo Reich).
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Da TERRORE E MISERIA DEL TERZO REICH
IX
La moglie ebrea
(…) Sì, dunque io parto, Fritz. Ho forse tardato anche troppo, devi scusarmi, ma…
Fritz, non devi più cercar di trattenermi, non puoi… È evidente che finirei per rovinarti. Lo so che non sei un vigliacco, che non hai paura della polizia, ma c’è di peggio. Non ti metteranno in campo di concentramento, ma ti vieteranno l’accesso alla clinica, domani o dopodomani, e allora non dirai niente, ma ti ammalerai. Non voglio vederti qui a girellare per casa, a sfogliare riviste. Credimi, se me ne vado è per puro egoismo, non per altro. Non dirmi niente…
Non dirmi che non sei cambiato, non è vero! La settimana scorsa hai scoperto molto obiettivamente che la percentuale degli scienziati ebrei non è poi tanto grande. Si comincia sempre così, con l’obiettività… e perché adesso continui a ripetermi che mai come ora ho dato prova del mio nazionalismo ebraico? Sì, sono nazionalista. È come una malattia che ti prende. Oh, Fritz, che destino è stato il nostro!
Non ti ho detto che volevo andarmene, che già da tempo volevo andarmene, perché non posso parlare quando ti guardo, Fritz. Allora mi sembra che ogni parola sia inutile. Tanto, è già tutto deciso! Che cos’hanno? Cosa vogliono in realtà? Che cosa gli faccio? Non mi sono mai occupata di politica. Tenevo per Thälmann, forse? Sono una di quelle signore borghesi che hanno servitù eccetera, e tutt’a un tratto cosa succede? Soltanto alle bionde è permesso di essere così? Negli ultimi tempi ho pensato spesso a quello che mi dicevi anni fa, che ci sono persone che valgono e persone che valgono meno, e che ai primi si dà l’insulina quando hanno il diabete e agli altri no; e allora mi era parso naturale, stupida che non ero altro! Adesso hanno fatto una nuova distinzione del genere, e io appartengo alla categoria di quelli che valgono meno. Ben mi sta.
Sì, faccio i bagagli. Non devi far finta di non aver notato niente in questi ultimi giorni. Fritz, posso sopportare tutto meno che questo: di non guardarci dritto negli occhi nell’ultima ora che ci resta. Non dobbiamo dare questa soddisfazione a quei bugiardi che costringono tutti a mentire. Dieci anni fa, quando qualcuno diceva che non si notava affatto che io fossi ebrea, tu replicavi: “Eh, altroché!” era una cosa che mi faceva piacere; era sincerità. Perché non avere adesso il coraggio di dire le cose come sono? Faccio i bagagli perché altrimenti non sarai più primario, perché quelli della clinica ti salutano già a stento e tu non riesci più a dormire la notte. Non voglio che tu mi dica che non devo andarmene. Anzi, mi affretto perché non voglio che un giorno tu mi dica: “Devi andartene.” È questione di tempo. Il carattere, è questione di tempo. Ha una certa durata, proprio come un guanto. Ce ne sono di buoni che durano un pezzo. Ma nessuno dura in eterno. E non sono neanche in collera. Ma sì che lo sono. Perché devo tollerare tutto? Cosa c’è di male nella forma del mio naso e nel colore dei miei capelli? E devo lasciare la città dove sono nata perché quelli possano risparmiare il burro. Che razza di uomini siete! Sì, anche tu! Siete capaci di inventare la teoria dei quanta, la teoria di Trendelenburg, e lasciate che dei semiselvaggi vi ordinino di conquistare il mondo e di separarvi dalla moglie che vorreste avere. Siete dei mostri, (…)
Tu te ne stai seduto lì, vedi tua moglie che fa i bagagli e non dici niente. Perché i muri hanno orecchie, eh? Ma se voi non dite niente! Gli uni stanno a orecchie tese, gli altri tacciono! Che schifo! Anch’io dovrei tacere. Se ti volessi bene, tacerei. Ma io ti voglio bene davvero! (…)
E non aver l’aria di credere che sia una cosa provvisoria: per quattro settimane! È una faccenda che non dura quattro settimane. Lo sai tu e lo so anch’io. (…)
E non parliamo di disgrazia, parliamo di vergogna… (…)
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MIO FRATELLO AVIATORE
(Mein Bruder war ein Flieger 1937)
Avevo un fratello aviatore.
Un giorno, la cartolina.
Fece i bagagli, e via,
lungo la rotta del sud.
Mio fratello è un conquistatore.
Il popolo nostro ha bisogno
di spazio; e prendersi terre su terre,
da noi, è un vecchio sogno.
E lo spazio che s’è conquistato
è sui monti del Guadarrama.
È di lunghezza un metro e ottanta,
uno e cinquanta di profondità.
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PRIMAVERA 1938
(Frühling 1938)
Oggi, mattino di Pasqua,
una bufera improvvisa è passata sull’isola.
Tra le siepi già verdi c’è neve.
Mio figlio mi ha condotto per mano verso il muro della casa.
Senza parlare abbiamo messo un telo sull’albero che raggelava.
Sopra il Sund pendono nuvole cariche di pioggia.
I peri hanno foglie verdi, non ancora fiori.
I ciliegi hanno fiori, non ancora foglie.
Sulle acque increspate del Sund
veleggia una piccola barca dalla vela rammendata.
Al pigolio dei tordi si unisce il tuono lontano
delle esercitazioni di guerra del Terzo Reich.
In queste notti di primavera
dai salici lungo il Sund
chiama spesso la civetta.
Secondo la superstizione informa gli uomini
che non vivranno a lungo.
A me che so di aver detto la verità su chi comanda
l’uccello del malaugurio
non c’è bisogno che m’informi.
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DA LEGGERE IL MATTINO E LA SERA
(Morgens und abends zu lesen Da Poesie 1933-1938)
Quello che amo
mi ha detto
che ha bisogno di me.
Per questo
ho cura di me stessa
guardo dove cammino e
temo che ogni goccia di pioggia
mi possa uccidere.
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IV
Tra il 1938 ed il 1944 prendono forma opere come Mutter Courage und ihre Kinder (Madre Coraggio e i suoi figli), Der aufhaltsame Aufstieg des Arturo Ui (La resistibile ascesa di Arturo Ui), Herr Puntila und sein Knecht Matti (Il signor Puntila e il suo servo Matti), Schweyk im zweiten Weltkriek (Schweyk nella seconda guerra mondiale), Leben des Galilei (Vita di Galileo) e Der kaukasische Kreidekreis (Il cerchio di gesso del Caucaso).
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Da MADRE CORAGGIO E I SUOI FIGLI
IX
(…) CUOCO
Avete visto il savio Salomone,
quel che gli capitò?
Per lui tutto era chiaro come il sole,
malediceva il giorno che era nato
e diceva: “Ogni cosa è vanità”.
Com’era grande e saggio Salomone!
Ma non ci fu bisogno di molto tempo
per vedere come andava a finire:
la saggezza lo aveva così disperato
che fortunato chi non ce l’aveva!
Già, perché a questo mondo tutte le virtù sono pericolose, come dimostra questa bella canzone, meglio non averle, vivere allegramente, con un po’ di colazione, diciamo, un po’ di minestra calda. Io, per esempio, non ce n’ho e vorrei averla, sono un soldato, ma a che cosa m’è servito il mio valore in tutte le battaglie? Niente; ora ho fame, era meglio se me la facevo sotto e me ne rimanevo a casa. Sì, perché?
Avete visto il valoroso Cesare,
quel che gli capitò?
Era come un dio sopra l’altare
e fu ammazzato, come ben sapete,
proprio quand’era al colmo della gloria.
Come gridò: “Anche tu, figlio mio!”.
Ma non ci fu bisogno di molto tempo
per vedere come andava a finire:
il valore lo aveva così ridotto
che fortunato chi non ce l’aveva!
Non mettono neppure fuori la faccia. Egregio signore, famigli e servi! Voi potreste dirmi: “Il coraggio non è mica una cosa che dia da mangiare; e allora, provate con l’onestà! Così vi sfamereste o almeno non rimarreste proprio a digiuno!”. Come va questa storia?
Voi conoscete il probo e onesto Socrate,
che sempre disse la verità:
ma non gli furono punto grati,
anzi le autorità lo perseguitarono
e gli dettero da bere la cicuta.
Quant’era onesto quel gran figlio del popolo!
Ma non ci fu bisogno di molto tempo
per vedere come andava a finire:
la probità lo aveva così stremato
che fortunato chi non ce l’aveva!
Già, ci dicono di essere altruisti e di dividere quel che si ha; ma se non si ha nulla? Forse, è vero, neppure i benefattori hanno la vita facile, si può capirlo, ma ad ogni modo qualcosa ci vuole. Già, l’altruismo è una virtù rara, dato che non rende nulla.
San Martino, lo sapete anche voi,
non sopportò la miseria degli altri.
Vide tra la neve un pover’uomo,
e gli offrì metà del suo mantello,
così tutti e due morirono di freddo.
Lui non badava alla ricompensa terrena!
E non ci fu bisogno di molto tempo
per vedere come andava a finire:
l’altruismo lo aveva così ridotto
che fortunato chi non ce l’aveva!
E così la va per noialtri! Siamo gente onesta, ci aiutiamo fra noi, non rubiamo, non ammazziamo, non incendiamo! E così si può dire che ci va sempre peggio e che siamo l’esempio della nostra canzone; e le minestre sono sempre più rare e se si fosse differenti, se si fosse ladri e assassini, forse avremmo la pancia più piena! Perché le virtù non sono rimeritate, ma solo i delitti. Così va il mondo e non dovrebbe andare!
Qui vedete gente perbene
che rispetta la legge di Dio:
finora non ci è servito granché.
Voi, che sedete accanto alla stufa calda,
aiutateci a lenire la nostra grande miseria!
Che bravissime persone eravamo!
E non c’è voluto molto tempo
per vedere come andrà a finire:
il timor di Dio ci ha così rovinati
che fortunato chi non l’ha mai avuto!
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Da SCHWEYK NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE
(…) SIGNORA KOPECKA
CANZONE DELLA DONNA DEL SOLDATO NAZISTA
E che venne alla donna del soldato
da Praga, dall’antica capitale?
Da Praga le venne la scarpa col tacco,
un saluto e la scarpa col tacco,
questo le venne da Praga.
E che venne alla donna del soldato
da Varsavia in riva alla Vistola?
Da Varsavia le venne la camicetta di lino,
così vivace e strana, una camicetta polacca!
Questo le venne dalla riva della Vistola.
E che venne alla donna del soldato
da Oslo sul Sund?
Da Oslo le venne il baverino di pelliccia;
speriamo le piaccia, il baverino di pelliccia!
Questo le venne da Oslo sul Sund.
E che venne alla donna del soldato
dalla ricca Rotterdam?
Da Rotterdam le venne il cappello.
E le sta bene, il cappello olandese!
Questo le venne da Rotterdam
E che venne alla donna del soldato
da Bruxelles, in terra belga?
Da Bruxelles i fini merletti.
Oh, averli, quei fini merletti!
Questi le vennero dalla terra belga.
E che venne alla donna del soldato
da Parigi la Ville lumière?
Da Parigi le venne la veste di seta.
Per l’invidia della vicina, le veste di seta:
Questa le venne da Parigi.
E che venne alla donna del soldato
da Tripoli di Libia?
Da Tripoli le venne la catenella,
gli amuleti alla catenella di rame.
Questi le vennero da Tripoli.
E che venne alla donna del soldato
dall’ampio paese dei russi?
Di Russia le venne il velo di vedova.
Per il funerale il velo di vedova.
Questo le venne di Russia.
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Da VITA DI GALILEO
XII
Il Papa
(…) INQUISITORE
Dunque, Vostra Santità si prepara davvero a dire ai suoi dottori di ogni facoltà, ai rappresentanti degli ordini ecclesiastici e del clero tutto, qui convenuti con la loro ingenua fede nella parola di Dio tramandata dalla Scrittura, per udire dalla Santità Vostra la conferma di quella loro fede: si prepara dunque a dir loro che non si deve più credere alla Bibbia? (…)
Il mondo è percorso da un’inquietudine nefanda; e l’inquietudine dei loro cervelli, costoro la trasferiscono alla terra, alla terra immobile. “Le cifre parlano chiaro”: questo, il loro grido di battaglia! Ma donde provengono quelle cifre? È presto detto: dal dubbio. Costoro mettono in dubbio ogni cosa; e possiamo noi fondare la compagine umana sul dubbio anziché sulla fede? “Tu sei il mio Signore, ma dubito che ciò sia giusto.” “Questa è la casa del mio vicino, questa è la moglie del mio vicino, ma dubito che non possano essere mie.” Ed ecco, d’altro canto, l’amore di Vostra Santità per le arti fatto oggetto di frizzi ingiuriosi, come quello che si legge sui muri delle case romane: “Ciò che non fecero i barbari, fecero i Barberini!” E fuori d’Italia? Dio ha creduto di sottoporre a dure prove il Sacro Soglio. V’è gente di corte vedute che non capisce la politica condotta da Vostra Santità in Spagna, che deplora il dissidio con l’Imperatore. Da tre lustri la Germania è un banco da macello, dove ci si scanna a suon di citazioni della Bibbia. E ora che la peste, la guerra e la Riforma hanno ridotto il gregge cristiano a piccoli frantumi sparuti, per tutta l’Europa corre la voce che voi, in segreta combutta con i luterani svedesi, vi proponete d’indebolire l’Imperatore cattolico. E proprio adesso cotesti vermi di matematici volgono i loro cannocchiali al cielo e annunciano al mondo che anche qui, anche in quest’unico spazio che ancora non vi si contestava, Vostra Santità si trova a mal partito. È lecito chiedersi: come mai tanto improvviso interesse per una scienza remota come l’astronomia? Che importanza ci può essere nel modo in cui quelle sfere girano? Ma in Italia, in questo paese dove, fino all’ultimo degli stallieri, sull’esempio funesto di quel fiorentino, tutti vanno ciarlando delle fasi di Venere, non v’è nessuno che non pensi in pari tempo anche a tutto quanto, nelle scuole e in altri luoghi, viene insegnato come incontestabile, e che tanto disturba! Che succederebbe se tutti costoro, deboli nella carne, inclini ad ogni eccesso, tenessero per valida istanza solo la loro ragione, come va predicando quel forsennato? Una volta che dubitassero se il sole si sia davvero fermato in Gabaòn, i loro sporchi dubbi potrebbero estendersi anche alle questue! Da quando si avventurano sugli oceani – e a questo non vi è nulla da obiettare – tutta la loro fiducia va ad una pallina d’ottone che chiamano bussola, non più all’onnipotenza di Dio! Questo Galilei fin da giovane si occupò di macchine. Con le macchine pensano di fare miracoli: ma quali? Di Dio non sentono più bisogno; ma che sorta di miracoli saranno? Per esempio, non si deve più parlare di alto e basso: a loro non serve più. Aristotele, che per tutto il resto considerano alla stregua di una vecchia ciabatta, ha detto (e questo lo citano!): “Se la spola del telaio girasse da sola, se il plettro della cetra suonasse da sé, i maestri non avrebbero più bisogno di aiutanti, né i padroni di servi.” Ed è quello che sta avverandosi, pensano. Quel malvagio sa ciò che fa, quando scrive le sue opere d’astronomia non più in latino, ma nell’idioma volgare delle pescivendole e dei lanaioli! (…)
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A COLORO CHE VERRANNO
(An die Nachgeborenen 1939)
Davvero, vivo in tempi bui!
La parola innocente è stolta. Una fronte distesa
vuol dire insensibilità. Chi ride,
la notizia atroce
non l’ha saputa ancora.
Quali tempi sono questi, quando
discorrere d’alberi è quasi un delitto,
perchè su troppe stragi comporta silenzio!
E l’uomo che ora traversa tranquillo la via
mai più potranno raggiungerlo gli amici
che sono nell’affanno?
È vero: ancora mi guadagno da vivere.
Ma, credetemi, è appena un caso. Nulla
di quel che faccio m’autorizza a sfamarmi.
Per caso mi risparmiano. (Basta che il vento giri,
e sono perduto).
“Mangia e bevi!”, mi dicono, “E sii contento di averne”.
Ma come posso io mangiare e bere, quando
quel che mangio, a chi ha fame lo strappo e
manca a chi ha sete il mio bicchiere d’acqua?
Eppure mangio e bevo.
Vorrei anche essere un saggio.
Nei libri antichi è scritta la saggezza:
lasciar le contese del mondo e il tempo breve
senza paura trascorrere.
Spogliarsi di violenza,
render bene per male,
non soddisfare i desideri, anzi
dimenticarli, dicono, è saggezza.
Tutto questo io non posso:
davvero, vivo in tempi bui!
Nelle città venni al tempo del disordine,
quando la fame regnava.
Tra gli uomini venni al tempo delle rivolte,
e mi ribellai insieme a loro.
Così il tempo passò
che sulla terra m’era stato dato.
Il mio pane, lo mangiai tra le battaglie.
Per dormire mi stesi in mezzo agli assassini.
Feci all’amore senza badarci
e la natura la guardai con impazienza.
Così il tempo passò
che sulla terra m’era stato dato.
Al mio tempo le strade si perdevano nella palude.
La parola mi tradiva al carnefice.
Poco era in mio potere. Ma i potenti
posavano più sicuri senza di me; o lo speravo.
Così il tempo passò
che sulla terra m’era stato dato.
Le forze erano misere. La meta
era molto remota.
La si poteva scorgere chiaramente, seppure anche per me
quasi inattingibile.
Così il tempo passò
che sulla terra m’era stato dato.
Voi che sarete emersi dai gorghi
dove fummo travolti
pensate
quando parlate delle nostre debolezze
anche ai tempi bui
cui voi siete scampati.
Andammo noi, più spesso cambiando paese che scarpe,
attraverso le guerre di classe, disperati
quando solo ingiustizia c’era, e nessuna rivolta.
Eppure lo sappiamo:
anche l’odio contro la bassezza
stravolge il viso.
Anche l’ira per l’ingiustizia
fa roca la voce. Oh, noi
che abbiamo voluto apprestare il terreno alla gentilezza,
noi non potemmo essere gentili.
Ma voi, quando sarà venuta l’ora
che all’uomo un aiuto sia l’uomo,
pensate a noi
con indulgenza.
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Da IL CERCHIO DI GESSO DEL CAUCASO
II
(…) GRUŠA
Va’ tranquillo alla battaglia, soldato,
alla battaglia di sangue, amara battaglia,
dalla quale non tutti ritornano.
Quando tornerai tu, io sarò qui.
Ti aspetterò sotto l’olmo verde,
ti aspetterò sotto l’olmo spoglio,
ti aspetterò finchè l’ultimo soldato sia tornato
e più in là.
Quando tornerai dalla battaglia
non ci saranno stivali davanti alla mia porta,
il guanciale accanto al mio sarà vuoto
e la mia bocca non ricorderà baci.
Quando tornerai, quando tornerai,
potrai dire: tutto è come prima.
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V
Nel 1948 Brecht ritornò a Berlino Est dove fondò il teatro Berliner Ensembe che diventò una delle più importanti compagnie teatrali europee, dedicandosi prevalentemente alla regia.
Morì il 14 Agosto 1956.
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IL FUMO
(Der Rauch 1954)
La piccola casa sotto gli alberi sul lago.
Dal tetto sale il fumo.
Se mancasse
quanto sarebbero desolati
la casa, gli alberi, il lago.
Dedicato a Lionello Candotti (1947-2001)
Attore e Regista
30 Giugno 2018