VOCES A MEDIA LUZ

LETTURE DA AUTORI ARGENTINI

(Scelte da Ezio Beccaria)

Vuelvo al Sur,

come se vuelve siempre al amor,

vuelvo a vos,

con mi deseo,  con mi temor.

 

Llevo el Sur,

como un destino del corazon,

soy del Sur,

como los aires del bandoneon.

(1988)

Fernando Ezequiel Solanas

(Buenos Aires 1936 – )

RODOLFO ALONSO

(Buenos Aires 1934 – )

LONTANA BUENOS AIRES *

 

tutti

aspettano qualcosa

dalla città

 

tutti

aspettiamo

un vento

uno sfiorare

una parola

 

un letto d’amore

un pane brillante

 

ah

la città

che mai

raggiungeremo

 

la città

che ci scioglie

e ci lascia soli

tra tutti

tremanti

ad aspettare qualcosa

JORGE LUIS BORGES

(Buenos Aires 1899 – 1986)

BUENOS AIRES

E la città,  adesso,  è come una mappa

delle mie umiliazioni e fallimenti;

da quella porta ho visto i tramonti

e davanti a quel marmo ho aspettato invano.

Qui l’incerto ieri e l’oggi diverso

mi hanno offerto i comuni casi

di ogni sorte umana;  qui i miei passi

ordiscono il loro incalcolabile labirinto.

Qui la sera cenerognola aspetta

il frutto che le deve il mattino;

qui la mia ombra nella non meno vana

ombra finale si perderà,  leggera.

Non ci unisce l’amore ma lo spavento;

sarà per questo che l’amo tanto.

 

OSVALDO SORIANO

(Mar del Plata 1943 – 1997)

RIBELLI,  SOGNATORI E FUGGITIVI

BUENOS AIRES DOPO LA LUNGA INSONNIA

   Singolare paradosso:  in quest’anno di dittatura agonizzante,  le librerie mostrano nelle vetrine le stesse opere a causa delle quali un tempo molta gente andava a finire in carcere.  I libri degli esuli,  prima proibiti,  occupano i primi posti nelle liste dei best-seller.  Autori maledetti come Rodolfo Walsh e Haroldo Conti – entrambi desaparecidos – o come Osvaldo Bayer,  Juan Gelman,  David Viñas,  Solari Yrigoyen vengono pubblicati di nuovo e tornano ad apparire negli scaffali gli scritti di Karl Marx,  Lev Trockij,  Herbert Marcuse e Juan Perón.  I lettori giovani si precipitano su quegli autori sconosciuti,  li discutono e li criticano,  ma pochi possono comprarli perché un libro costa cinque volte più caro che un pranzo.

Quegli anni di sangue e di fuoco lasciano testimonianze incancellabili:  quattro teatri incendiati mostrano le loro riprovevoli rovine nel pieno centro di Buenos Aires.  Vi si mettevano in scena testi di un’audacia intollerabile.  Il fenomeno del Teatro Abierto,  iniziato nel 1981,  nel pieno della repressione,  passerà alla storia come l’unico grande momento della cultura di resistenza.

Il progetto aveva riunito i migliori attori,  registi e drammaturghi che lavoravano senza guadagnare un centesimo per allestire brevi pièces capaci di scuotere le coscienze.  Gli spettatori,  entusiasti,  salivano sul palcoscenico per abbracciare gli attori.  Poi,  i militari fecero bruciare un teatro,  e poi un altro,  ma l’esperienza continua;  altre sale sostituiscono quella del Picadero,  del pasaje Rauch dove per la prima volta dall’insediamento della dittatura l’arte si è espressa senza giri di parole,  provocatrice e libera.

Buenos Aires,  che ambigua emozione!

Interminabili strade di pietra,  spiazzi abbandonati e muraglie,  capannoni in rovina,  personaggi ineffabili.  Un’aria dolorosa di tango e un grido di rock adolescente attraversano i quartieri.  Rabbiose marce per la pace dietro alle Madres de Plaza de Mayo.  Militari minacciosi e quell’umorismo nero,  così portegno,  più disincantato che mai.

Desolazione.  Morti senza tomba che turbano i nostri sonni.  Elezioni,  promesse.  Democrazia?

 

RODOLFO ALONSO

PER VIVERE QUI *

Io parlo d’amore

una cosa possibile

 

del tuo amore  del mio amore

 

nella strada

nel vento

nel mondo

 

dentro la parola

 

JORGE LUIS BORGES

IL COMPLICE

Mi crocifiggono e io devo essere la croce e i chiodi.

Mi tendono il calice e io devo essere la cicuta.

Mi ingannano e io devo essere la menzogna.

Mi bruciano e io devo essere l’inferno.

Devo lodare e ringraziare ogni istante del tempo.

Il mio nutrimento son tutte le cose.

Il peso preciso dell’universo,  l’umiliazione,  il giubilo.

Devo giustificare ciò che ferisce.

Non importa la mia fortuna o la mia sventura.

Sono il poeta.

SYLVIA IPARRAGUIRRE

(Junin,  Buenos Aires 1947 – )

LA TERRA DEL FUOCO

Lobos,  1865

   Tra i 64 e i 70 gradi di longitudine ovest del meridiano di Greenwich e tra il 52° e il 56° parallelo di latitudine sud,  si estende l’ultimo lembo di America del Sud:  la Terra del Fuoco,  la Terra Incognita Australis,  aperta,  frantumata in isole e canali interminabili di modo che se un uomo si fermasse sulla costa nord dello Stretto di Magellano,  guardando verso sud,  avrebbe davanti a sé,  in linea retta e a poche miglia,  il punto estremo di questo insieme,  le isole più australi del continente,  Capo Horn,  dove si scontrano furiosamente gli oceani;  dietro di sé,  l’uomo si ritroverebbe alle spalle l’America del Sud,  quella Centrale e quella del Nord,  con i loro tropici,  il loro equatore,  con tutti i loro fiumi,  boschi e montagne,  fino all’Alaska.  Ma fermo qui,  in questo emisfero,  sul limite dello Stretto,  se l’uomo alzasse lo sguardo al cielo,  potrebbe vedere sulla propria testa la leggendaria bellezza della Croce del Sud,  inestimabile gioiello dei naviganti del nord,  e poi,  se l’uomo aprisse le braccia come a imitare la costellazione che ha guardato,  se le aprisse in tutta la loro ampiezza,  la mano sinistra indicherebbe l’imboccatura dello Stretto per il quale soffrirono gli spaventati e sperduti spagnoli,  le coste che Pigafetta aveva chiamato terra dei fuochi,  per la catena rossastra di falò con cui gli abitanti della regione si avvisavano del transito di strani ed enormi esseri curvi e alberati che passavano sul mare ma che non erano balene.  A sua volta,  la mano destra,  distesa,  indicherà le montagne dell’ovest,  la cordigliera che,  scendendo da nord,  sprofonda ed emerge sull’isola grande,  per percorrerla in diagonale,  come l’ultimo tratto della coda nera e bruciata di un drago la cui punta rocciosa esce per un’ultima volta sull’Isola de Los Estados,  e che salendo di nuovo verso nord,  rizzando la gigantesca spina dorsale,  attraverso climi diversi,  compie una torsione all’altezza delle scapole per adagiarsi sul Mar dei Caraibi,  alle verdi foci dell’Orinoco.  Ma qui,  fermo sullo Stretto,  sopra la coda del drago,  più a sud degli altipiani e delle vette magellaniche,  oltre le montagne blu e spettrali dove gli uomini giunti da est sognarono la valle incantata degli immortali,  la Città d’Oro dei Cesari,  l’uomo guarderebbe ostinatamente il sud,  in linea retta,  verso Capo Horn.

Duecento miglia più giù,  le foschie della nebbia si aprono e cade la pioggia sulle ultime isole,  il vento senza fine solleva onde gigantesche e gelide,  la spuma vola ovunque.  Capo Horn,  luogo di navi andate a picco,  dove i marinai sfiniti dalla triste fama di quel punto in cui gli oceani convergono come se lottassero,  e dall’idea ossessiva di perdersi nel labirinto di isole e canali avvolti nella bruma eterna,  credevano di ascoltare il lamento degli affogati,  il sussurro dei naufraghi morti da secoli che sembravano chiamare,  chiedere aiuto dalle coste buie.

 

RODOLFO ALONSO

COME DUE ASTRI

Come due astri erranti

che si sono uniti nel loro errare

i nostri errori ci avvicinano

i nostri errori ci separano.

 

Come due astri erranti

che guizzano per amore

i nostri sguardi ci attraggono

i nostri sguardi ci respingono.

 

Come due astri erranti

che si separano per vedere

la sete  la fame  il sole  la furia

le nostre strade incontrate.

 

Nel profondo dei cieli

nel silenzio della luce

come due astri erranti

moriamo  rinasciamo.

 

JORGE LUIS BORGES

IL SUR

Da uno dei tuoi cortili aver guardato

le antiche stelle,

dalla panchina all’ombra aver guardato

quelle luci disperse

che la mia ignoranza non ha imparato a nominare

né a ordinare in costellazioni,

aver sentito il cerchio dell’acqua

nella segreta cisterna,

l’odore del gelsomino e della madreselva,

il silenzio dell’uccello addormentato,

l’arco dell’androne,  l’umidità.

Queste cose,  forse,  sono la poesia.

 

OSVALDO SORIANO

RIBELLI,  SOGNATORI E FUGGITIVI

CARLOS GARDEL:  UN AMORE ARGENTINO

   Molto prima di tornare dall’esilio,  avevo previsto ogni dettaglio di quella giornata memorabile.  Sarebbe stato un giovedì d’autunno e avrei trovato ad aspettarmi all’aeroporto gli stessi amici che erano venuti a salutarmi nel 1976,  avrei volato con Aerolíneas Argentinas per abituarmi alle voci altisonanti dei turisti portegni,  insieme a me ci sarebbero stati Catherine e il gatto che mi ha accompagnato in quegli anni di Parigi,  avrei trascorso una lunga giornata insonne e quando fosse cominciato l’atterraggio,  mi sarei ricordato l’immancabile tango di Carlos Gardel:

 

Volver,

con la frente marchita,

las nieves del tiempo

platearon mi sien.

Sentir,  que es un soplo la vida,  …  .

 

In Tango Bar,  Gardel lo cantava alla fine,  appoggiato al corrimano della nave,  rovinato ma felice di tornare a casa.  Mezzo secolo dopo io lo sussurravo con lo sguardo fisso sulle turbine del Boeing e mi scendeva una lacrima lungo il viso.  Ma in fin dei conti anche questo era previsto.  Non era altro che la messa in scena di un tango vecchio e mesto che accompagna tutti gli argentini che si disperdono per il mondo.  Noi ci degradiamo in casa o moriamo all’estero.  Come San Martín,  Rosas o Carlos Gardel.  Quando riusciamo a sopravvivere alla disgrazia o all’indifferenza,  ci costa fatica venirne fuori e ci prepariamo per fallire fragorosamente.  Nessuno è del tutto argentino senza un buon fallimento,  senza una frustrazione piena,  intensa,  degna di una pena infinita.

Di questo parla il tango.  Di quella miseria è fatta la cultura di un popolo allo stesso tempo coraggioso e cieco.  Per questo non esiste un tango felice (…).

SILVINA OCAMPO

(Buenos Aires 1903 – 1994)

IL SOGNO RICORRENTE *

Giungo come giunsi,  solitaria,  spaventata

alla porta di strada di legno incerato.

 

Apro la porta ed entro,  silenziosa,  in mezzo a tappeti.

I muri ed i mobili mi fanno paura con le loro ombre.

 

Salgo gli scaloni di marmo giallo,

con riflessi rosati.  Penetro in un corridoio.

 

Non c’è nessuno,  ma c’è qualcuno nascosto tra le porte.

Le persiane scure sono tutte aperte.

 

I soffitti alti nel giorno sembrano

un cielo con stelle spente che crescono.

 

Il ricordo conserva una antica retorica,

si eleva come un albero o una colonna dorica,

 

abitualmente dorme dentro i nostri sogni

e siamo in segreto i suoi esclusivi padroni.

JORGE LUIS BORGES

MILONGA DI MANUEL FLORES

Manuel Flores va a morire.

Questa è moneta corrente;

morire è un’abitudine

che sa avere la gente.

E tuttavia mi dispiace

dire addio alla vita,

questa cosa che è di sempre,

tanto dolce e conosciuta.

Guardo all’alba le mie mani,

guardo nelle mani le vene;

con sorpresa me le guardo

come se fossero d’altri.

Verranno i quattro spari

e con i quattro l’oblio;

lo disse il saggio Merlino:

morire è essere nati.

Quante cose sul loro cammino

avranno visto questi occhi!

Chissà quello che vedranno

dopo che Cristo mi avrà giudicato.

Manuel Flores va a morire.

Questa è moneta corrente;

morire è un’abitudine

che sa avere la gente.

ADOLFO BIOY CASARES

(Buenos Aires 1914 – 1999)

L’INVENZIONE DI MOREL

   Ancora una volta si è comportata come se non mi avesse visto.  Il mio solo sbaglio è stato quello di rimanere zitto e di permettere che si ristabilisse il silenzio.

Quando la donna arrivò sulle rocce,  io stavo guardando il tramonto.  Rimase immobile cercando un posto dove stendere il plaid.  Poi avanzò verso di me.  Per toccarla mi sarebbe bastato allungare un braccio.  Questa possibilità mi inorridì (come se avessi rischiato di toccare un fantasma).  Mi ignorava in un modo che mi sembrò terrificante.  Eppure,  sedendosi accanto a me mi sfidava,  era come se in qualche modo non mi ignorasse più.

Prese un libro dalla borsa e si mise a leggere.  Approfittai della tregua per calmarmi.

Poi,  quando la vidi abbandonare il libro e alzare lo sguardo,  pensai:  “si prepara a interpellarmi”.  Ma non lo fece.  Il silenzio aumentava,  ineluttabile.  Capii che era importante interromperlo;  eppure,  senza ostinazione,  senza alcun motivo,  rimasi zitto.

Nessuno dei suoi compagni è venuto a cercarmi.  Forse lei non avrà parlato di me;

 

Ho scoperto in me una certa inclinazione a prevedere soltanto le possibilità sfavorevoli.  Ho questa tendenza da tre o quattro anni,  ma non per caso;  è fastidiosa.  Che la donna continui a venire,  che abbia cercato di starmi vicino,  tutto sembra indicare un cambiamento troppo felice perché io possa considerarlo…

 

Non debbo sperare niente.  Scrivo questa frase e mi viene un’idea che è una speranza.  Non credo di avere insultato questa donna,  ma forse sarebbe opportuno placarla.  Che si fa di solito in queste circostanze?  Si invia un mazzo di fiori.  È un progetto ridicolo…  ma i progetti ridicoli,  quando sono umili,  arrivano in fondo al cuore.  Nell’isola ci sono molti fiori.  Al mio arrivo c’era ancora qualche aiuola intorno alla piscina e al museo.  Riuscirò senz’altro a fare un giardinetto accanto alle rocce.  Forse occorre l’intervento della natura per guadagnare l’intimità di una donna.

ALEJANDRA PIZARNIK

(Buenos Aires 1936 – 1972)

LA NOTTE

So poco della notte

ma la notte sembra sapere di me,

e in più,  mi cura come se mi amasse,

mi copre la coscienza con le sue stelle.

Forse la notte è la vita e il sole la morte.

Forse la notte è niente

e le congetture sopra di lei niente

e gli esseri che la vivono niente.

Forse le parole sono l’unica cosa che esiste

nell’enorme vuoto dei secoli

che ci graffiano l’anima con i loro ricordi.

 

Ma la notte deve conoscere la miseria

che beve dal nostro sangue e dalle nostre idee.

Deve scaraventare odio sui nostri sguardi

sapendoli pieni di interessi,  di non incontri.

 

Ma accade che ascolto la notte piangere nelle mie ossa.

La sua lacrima immensa delira

e grida che qualcosa se n’è andato per sempre.

 

Un giorno torneremo ad essere.

JORGE LUIS BORGES

NOSTALGIA DEL PRESENTE

In quel preciso momento l’uomo disse:

che cosa non darei per la gioia

di stare al tuo fianco in Islanda

sotto il gran giorno immobile

e condividerlo adesso

come si condivide la musica

o il sapore di un frutto.

In quel preciso momento

l’uomo le stava accanto in Islanda.

HORACIO PRELER

(La Plata 1929 – )

LA MORTE DI UN POETA

Un poeta muore come qualsiasi altro uomo.

Crolla subito

o patisce una lunga malattia.

Abbandona allora i suoi figli,  i suoi affetti e i suoi piccoli lussi:

la sua infanzia,

la lettera di un amico

e alcuni libri che lo educarono.

Inoltre le poesie

che nessuno per lui scriverà.

JORGE LUIS BORGES

LEGGENDA

   Abele e Caino s’incontrarono dopo la morte di Abele.   Camminavano nel deserto e si riconobbero da lontano,  perché erano ambedue molto alti.  I fratelli sedettero in terra,  accesero un fuoco e mangiarono.  Tacevano,  come fa la gente stanca quando declina il giorno.  Nel cielo spuntava qualche stella,  che non aveva ancora ricevuto il suo nome.  Alla luce delle fiamme,  Caino notò sulla fronte di Abele il segno della pietra e lasciando cadere il pane che stava per portare alla bocca chiese che gli fosse perdonato il suo delitto.

Abele  rispose:

“Tu mi hai ucciso,  o io ho ucciso te?  Non ricordo più;  stiamo qui insieme come prima.”

“Ora so che mi hai perdonato davvero,”  disse Caino,  “perché dimenticare è perdonare.  Anch’io cercherò di scordare.”

Abele disse lentamente:

È così.  Finché dura il rimorso dura la colpa.”

RAFEL FELIPE OTERINO

(La Plata 1945 – )

PRENDI IL GAMBO BREVE

Prendi il gambo breve,

circondalo di terra soda,

poni mente a non ferire le radici nude,

spera che giunga l’estate,

pregalo di resistere,

che non creda nella morte,

che apra le sue corolle

in un colpo di vento,

senza chiedere verso dove

né verso chi.

 

JORGE LUIS BORGES

IL TEMPO

Il tempo è un fiume che mi trascina,

ma sono io quel fiume;

è una tigre che mi divora,

ma sono io quella tigre;

è un fuoco che mi consuma,

ma sono io quel fuoco.

Il mondo,  disgraziatamente,  è reale;

io,  disgraziatamente,  sono Borges,

 

OSVALDO SORIANO

L’ORA SENZ’OMBRA

Avrei avuto voglia di buttar giù qualche riga su un tale che avevo incontrato da un fornaio di Venado Tuerto.  Sosteneva che a Buenos Aires gli avevano rubato l’impermeabile senza che nessuno lo costringesse a sfilarselo.  La donna che stava al banco gli domandò se avesse fatto la denuncia e lui rispose che al commissariato non gliel’avevano voluta accettare.  A un tratto si era girato verso di me,  forse perché aveva notato il mio aspetto di forestiero,  e mi aveva detto:

“Ha presente le transenne che stanno davanti al Congreso?  Be‘.  Proprio lì.  Camminavo con l’impermeabile appena comprato e all’improvviso comincio a sentirmi tutto bagnato.  Cavoli,  dico,  mi compro un impermeabile ultima moda e non mi dura niente…  E allora mi sono accorto che me l’avevano rubato…”

“Magari lo ha dimenticato in qualche posto”,  gli ho detto.

“”Ma no,  lo avevo appena comprato.  Siccome piovigginava,  ho pensato:  “Me ne vado piano piano fino a Lavalle e m’infilo in un cinema.”  Io sono nella macellazione e passo spesso dal mercato di Liniers.””

Poteva avere cinquant’anni,  era in giacca e cravatta e alle dieci di mattina non sembrava avesse grandi impegni.

“Lei dice che aveva l’impermeabile addosso e che è sparito di colpo?”

“Sissignore.”

“Abbottonato?”

“Certo.”

“Davvero,  Radaelli,  è una cosa strana”,  dice la fornaia.

Radaelli mi guardava,  aspettava la mia reazione.

“A un mio amico gli è successa la stessa cosa”,  ho detto io,  e a quel punto mi indica,  come se gli avessi dato ragione.

“Che gli hanno rubato?”  domanda.

“Un paio di pantaloni nuovi.”

“Ah,  non è la stessa cosa!”  dice Radaelli.  “I pantaloni scivolano e cadono…  No,  non è la stessa cosa!”

Aveva imperiosamente bisogno che la storia risultasse vera per esisterci dentro.  In modo che qualcuno potesse dire:  Hai sentito che gli è successo a Radaelli?  Mentre ordinavo una dozzina di focaccine,  sono rimasto a pensare al modo per dare un bel finale alla sua storia.  Non era possibile che gli avessero rubato l’impermeabile senza costringerlo a sfilarselo,  e perciò provai a fargli prendere un’altra strada.

Era doppiopetto o dritto?”  gli ho domandato.

“Dritto,  vera gabardine.”

Ecco,  allora:  se era di gabardine gliel’hanno portato via con il gancio.”

È impallidito,  il labbro inferiore gli tremava un po‘ e alla fine è resuscitato con un sorriso:

“Come sarebbe,  con il gancio?”

“Se va a Buenos Aires,  lo dica al commissariato.  Stanno facendo dei lavori sul tetto del Congreso e usano spesso il gancio per tirar su il materiale.  Sembra che qualche volta pescano dell’altro,  e la gente si lamenta.”

È così,  Radaelli,”  dice la fornaia,  “gliel’hanno rubato con il gancio.”

Mi guardava come se fossi un Dio dell’Olimpo.  Mentre parlavamo era entrata altra gente e quasi tutti sembravano interessati a sapere che cosa fosse successo.  Stavo pagando quando mi ha battuto la mano sulla spalla invitandomi a rimanere per sostenere la sua storia.  Gli ho detto che mi aspettavano a Rosario per mezzogiorno,  ho salutato tutti quanti e me ne sono andato contento;  mi è tornato in mente quel che diceva Dalton Trumbo:  uno scrittore deve sempre essere all’altezza dei suoi personaggi.

 

RODOLFO ALONSO

L’AMORE VITTORIOSO *

 

compagna

 

più non mi fa male

il giorno

 

donna

 

con te nasce

la mia voce

il ramo forte

il vento

del tuo nome

 

tutto cade

su di me

 

il cielo

il sud

la tua notte dalle due ali

 

la tua eternità

 

il fuoco

di codesta chitarra

che ieri

tremava

sola

 

JORGE LUIS BORGES

LA ROSA

La rosa,

L’immarcescibile rosa che non canto,

quella che è peso e fragranza,

quella del nero giardino nell’alta notte,

quella di qualsiasi giardino e qualsiasi sera,

la rosa che risorge dalla tenue

cenere per l’arte dell’alchimia,

la rosa dei persiani e di Ariosto,

quella che sempre sta sola,

quella che sempre è la rosa delle rose,

il giovane fiore platonico,

l’ardente e cieca rosa che non canto,

la rosa irraggiungibile.

 

MACEDONIO FERNÁNDEZ

(Buenos Aires 1874 – 1952)

CARTE DEL NEOARRIVATO

UN ROMANZO PER NERVI SALDI

 

Si stava producendo una pioggia da giorno domenicale con uno sbaglio totale perché era martedì,  giorno della settimana asciutto per eccellenza.  Ma con tutto ciò non stava succedendo niente:  si compiva l’ordine di sciopero dei fatti.

Senza contrariare questo confuso stato di cose spinsi indietro con un movimento deciso la sedia che occupavo e dopo questo rumore burocratico e autoritario (…),  tolsi il cappello dall’attaccapanni e introdussi nelle maniche entrambe le braccia,  diedi la corda al calendario,  strappai il foglietto del giorno all’orologio,  buttai carbone nella ghiacciaia,  aumentai il gelo della stufa,  aggiunsi al termometro appeso tutti i termometri che tenevo in serbo per combattere il freddo che cominciava,  e siccome passava in modo raggiungibile un lento tram,  balzai sul marciapiede e caddi comodamente seduto nella mia buona poltrona da scrivania.

Certo che c’era molto da riflettere;  da un po‘ di tempo a questa parte i giorni trascorrevano e tuttavia non si diradava il mistero (tutti ignoravano che ce fosse uno) sul ponte progettato.

Insomma:  il ponte era già finito,  solo che bisognava farlo arrivare all’altra sponda,  perché per un piccolo errore la sua collocazione era stata indirizzata da una sponda alla stessa sponda.

 

(…) in verità l’arduo problema del momento era deviare il fiume in modo che passasse sotto il ponte.  Questo era il meno che si poteva pretendere,  e sperare,  da un fiume che non si era dato la minima pena per la faccenda del ponte.

 

JORGE LUIS BORGES

AFTERGLOW

Sempre è commovente il tramonto

per indigente o sgargiante che sia,

ma più commovente ancora

è quel brillìo disperato e finale

che arrugginisce la pianura

quando il sole ultimo si è sprofondato.

Ci duole sostenere quella luce tesa e diversa,

quella allucinazione che impone allo spazio

l’unanime paura dell’ombra

e che cessa di colpo

quando notiamo la sua falsità,

come cessano i sogni

quando sappiamo di sognare.

 

RODOLFO ALONSO

LA VOCE PRESA

Quando si romperà la lingua dell’amore,  ci rimarrà ancora questa roca parola.

Quando non potrò parlare,  tornerà ancora nella mia gola l’eco del tuo corpo.

 

ADOLFO BIOY CASARES

DORMIRE AL SOLE

   So che qualcuno è andato dicendo che non ho avuto fortuna nel matrimonio.  È meglio che gli estranei non mettano bocca nelle faccende private,  perché generalmente sbagliano.  Ma provi a dire a quelli del quartiere e ai parenti che sono estranei.

Il carattere della mia signora è alquanto difficile.  Diana non perdona nessuna dimenticanza,  non la concepisce nemmeno,  e se capito a casa con un regalo straordinario mi domanda:  “Per farti perdonare che cosa?”  È cavillosa e diffidente a un grado che più non si potrebbe.  Qualsiasi buona notizia la rattrista,  perché suppone che per compensarla ne verrà poi una cattiva.

Non le nasconderò nemmeno che in più di un’occasione io e la mia signora litigammo e che una sera – temo che tutto il vicolo abbia sentito il baccano – deciso ad andarmene sul serio arrivai fino a Incas,  ad aspettare l’autobus,  che per fortuna tardò e mi diede il tempo di ripensarci.  Probabilmente molte coppie conoscono simili dispiaceri.  È la vita moderna,  la velocità.  Posso dirle però che noi amarezze e dissapori non son riusciti a separarci.

Mi stupisce come la gente aborrisca la compassione.  Dal loro modo di parlare c’è da giurare che son fatti di ferro.  Se la vedo afflitta per le cose che fa quando non è lei,  provo una sincera compassione per la mia signora,  e a sua volta la mia signora ha compassione di me quando mi affliggo per colpa sua.  Mi creda,  la gente si crede di ferro,  ma quando prova compassione cede.

 

EVARISTO CARRIEGO

(Paraná 1883 – 1912)

IL TUO SEGRETO *

Di tutto ti dimentichi!  Ieri sera lasciasti

qui,  sopra il piano che non suoni mai,

un po‘ della tua anima di bambina malata:

un libro,  proibito,  di tenere memorie.

 

Intime memorie.  Io lo aprii,  distrattamente,

e seppi,  sorridendo,  la tua pena più profonda,

il dolce segreto che non dirò a nessuno:

a nessuno interessa sapere che tu mi nomini.

 

…  Vieni,  portati via il libro,  distratta,  piena

di luce e di sogno.  Romantica pazza…

Lasciare i tuoi amori lì,  sopra il piano!…

Di tutto ti dimentichi,  testa fra le nuvole!

 

LEOPOLDO LUGONES

(Villa de María del Río Seco 1874 – 1938)

CRONACA DELLA MIA MORTE *

Sognai la morte ed era molto semplice:

un filo di seta mi avvolgeva,

e ad ogni bacio tuo

con un giro di meno mi cingeva.

Ed ogni bacio tuo

era un giorno.

Ed il tempo che trascorreva tra due baci

una notte.  La morte è molto semplice.

 

E a poco a poco andò svolgendosi

Il filo fatale.  Ormai non lo trattenevo

che per un solo capo tra le dita…

Quando all’improvviso divenisti fredda

e non mi baciasti più…

e lasciai il capo e mi sfuggì la vita.

 

* (Traduzione di Ezio Beccaria)