LETTURE
(Scelte da Ezio Beccaria)
DA
FERNANDO PESSOA
(Lisbona 1888 – Lisbona 1935)
Il poeta è un fingitore.
Finge così completamente
che arriva a fingere che è dolore
il dolore che davvero sente.
Da IL LIBRO DELL’INQUIETUDINE
DI BERNARDO SOARES
DI BERNARDO SOARES
[FERNANDO PESSOA PRESENTA BERNARDO SOARES]
Esiste a Lisbona un piccolo numero di osterie o ristorantini ove, sopra uno spaccio da dignitosa mescita di vini, si erge un mezzanino dall’aspetto rustico e casalingo, sul tipo dei ristoranti di certe cittadine dove la ferrovia non arriva. In quei mezzanini in cui, esclusa la domenica, gli avventori sono rari, è frequente incontrare tipi curiosi, poveri diavoli, visi senza interesse, gente che vive a margine della vita.
Il desiderio di tranquillità e i prezzi convenienti mi portarono in un certo periodo della mia vita ad essere cliente assiduo di uno di quei mezzanini. Capitava che, quando vi cenavo verso le sette, incontrassi quasi sempre un tale il cui aspetto, che dapprincipio mi era parso indifferente, cominciò a poco a poco a suscitare il mio interesse.
Era un uomo dall’apparente età di trent’anni, magro, piuttosto alto, esageratamente curvo quando stava seduto ma un po‘ meno quando era in piedi, vestito con una certa ma non totale trascuratezza. L’aria sofferente non conferiva maggior interesse al pallido volto dai tratti comuni; una sofferenza di difficile definizione che poteva indicare varie cause: privazioni, angosce, e quel patimento che nasce dall’indifferenza proveniente dall’aver sofferto molto.
Cenava sempre con parsimonia e alla fine del pasto si arrotolava una sigaretta con tabacco di cattiva qualità. Osservava acutamente i presenti, con aria attenta ma non sospettosa; il suo non era uno sguardo censorio, ma un’attenzione che tuttavia non sembrava rivolta ai tratti e alle fisionomie della gente. Fu questo suo curioso atteggiamento che suscitò il mio primo impulso di interesse per lui.
…
…..
FERNANDO PESSOA
AH, QUEST’ANIMA CHE NON ARDE…
(Ah, a esta alma que não arde…)
Ah, quest’anima che non arde
non avviluppa, perché ama
la speranza, ancor che vana,
l’oblio che vive
tra la rugiada della sera
e la rugiada del mattino.
Da POESIAS
…..
RICARDO REIS
(FERNANDO PESSOA)
NON CONSENTON GLI DEI ALTRO CHE LA VITA…
(Não consentem os deuses que a vida…)
Non consenton gli dei altro che la vita.
E tutto rifiutiamo, che ci innalzi
a irrespirabili vette,
perenni senza fiori.
Solo accettabile riteniamo la scienza,
e, finché batte il sangue alle nostre tempie
e non si raggrinza con noi
lo stesso amore, duriamo,
come vetri, trasparenti alle luci
e che lasciano scorrere la pioggia triste,
solo tiepidi al sole caldo,
e riflettenti un poco.
Da ODES
…..
1 (90)
Penso a volte che non uscirò mai da questa Rua dos Douradores. E se lo scrivo, mi sembra l’eternità.
…..
ÁLVARO DE CAMPOS
(FERNANDO PESSOA)
AL VOLANTE DELLA CHEVROLET SULLA STRADA DI SINTRA…
(Ao volante do Chevrolet pela estrada de Sintra…)
Al volante della Chevrolet sulla strada di Sintra
al chiar di luna e al sogno, sulla strada deserta,
solitario guido, guido quasi lentamente, e un po‘
mi sembra, o mi sforzo un po‘ perché mi sembri,
di andare per altra strada, per altro sogno, per altro mondo,
di andare senza aver Lisbona lasciata o Sintra da raggiungere,
di andare, e che più ci sarà se vado che il non fermarsi, ma proseguire?
Vado a passar la notte a Sintra per non poterla passare a Lisbona,
ma, quando arriverò a Sintra, mi spiacerà di non essere rimasto a Lisbona.
Sempre quest’inquietudine senza scopo, senza nesso, senza effetto,
sempre, sempre, sempre,
quest’angoscia eccessiva dello spirito per niente,
sulla strada di Sintra, o sulla strada del sogno o sulla strada della vita…
Duttile alle mie mosse subcoscienti del volante,
corre sotto di me con l’automobile che m’hanno prestato.
Sorrido del simbolo, pensandoci, e svoltando a destra.
In quante cose che m’hanno prestato io vado nel mondo!
Quante cose che m’hanno prestato guido come mie!
Quanto m’hanno prestato sono, ahimè!, io stesso!
Alla sinistra il casolare – sì, il casolare – sul ciglio della strada.
Alla destra la campagna aperta, colla luna in lontananza.
L’automobile che pareva, or è poco, darmi libertà,
è adesso una cosa in cui sto chiuso,
che solo posso condurre se vi sto dentro chiuso,
che solo domino se mi v’includo, se mi v’include.
Alla sinistra, indietro, il casolare modesto, più che modesto.
La vita lì dev’essere felice, solo perché non è la mia.
Se qualcuno m’ha visto dalla finestra, sognerà: Lui sì che è felice.
Forse al bimbo che spia attraverso i vetri della finestra del piano di sopra
sono apparso (con l’automobile prestata) un sogno, una fata reale.
Forse per la ragazza che ha guardato, udendo il motore, per la finestra della cucina
al pian terreno,
sono qualcosa del principe di ogni cuor di ragazza,
ed ella mi guarderà di sghembo, per i vetri, fino alla curva in cui mi sono perduto.
Lascerò sogni dietro di me, o è l’automobile che li lascia?
Io, guidatore dell’automobile prestata, o l’automobile che io guido?
Sulla strada di Sintra al chiaro di luna, nella tristezza, davanti ai campi e alla notte,
guidando la Chevrolet prestata sconsolatamente,
mi perdo nella strada futura, mi dileguo nella distanza che raggiungo,
e, in un desiderio terribile, repentino, violento, inconcepibile, accelero…
Ma il mio cuore è rimasto sul mucchio di pietre, da cui mi scostai vedendolo senza vederlo,
alla porta del casolare,
il mio cuore vuoto,
il mio cuore insoddisfatto,
il mio cuore più umano di me, più esatto della vita.
Sulla strada di Sintra, verso mezzanotte, al chiaro di luna, al volante,
sulla strada di Sintra, che stanchezza della propria immaginazione,
sulla strada di Sintra, sempre più vicino a Sintra,
sulla strada di Sintra, sempre meno vicino a me…
Da POESIAS
…..
3 (81)
Oggi, in uno di quei vaneggiamenti senza motivo e senza dignità che costituiscono in gran parte la sostanza spirituale della mia vita, mi sono immaginato libero per sempre da Rua dos Douradores, dal signor Vasques, mio principale, dal contabile Moreira, da tutti gli impiegati, dal garzone, dal fattorino e dal gatto. Ho sentito in sogno la mia liberazione come se i Mari del Sud mi avessero offerto delle isole meravigliose da scoprire. Sarebbe allora la quiete, l’arte riuscita, il compimento intellettuale del mio essere.
Ma all’improvviso, nel bel mezzo della fantasticheria che stavo inseguendo nel caffè, durante la mia modesta vacanza meridiana, un sentimento di scontento è sceso sul mio sogno. Ho sentito che ne avrei provato rincrescimento.
…
…..
FERNANDO PESSOA
BATTE LA LUCE IN CIMA…
(Bate a luz no cimo…)
Batte la luce in cima
alla montagna, vedi…
Senza volere, rimugino
ma non so che cosa…
Non so cosa ho perduto
o cosa non ho trovato…
Vita che ho vissuto,
quanto male io l’amai!…
Oggi voglio tanto
che non lo posso avere.
Di mattina c’è il pianto
ed alla sera…
Quanto avrei voluto tendere
ad essere felice…
Come il mondo è piccolo,
e il poco che io volli!
Va morendo la luce
in cima alla montagna…
Come un fiume il flusso
la mia anima bagna.
Ma non mi accarezza,
non mi calma nulla…
Povero bambino
perduto nella strada!…
Da POESIAS
…..
4 (114)
Senza nulla di più di ciò che un sorriso rappresenta per l’anima, così, con serenità, considero il chiudersi continuo della mia vita in questa Rua dos Douradores, in questa stanza, nell’ambiente di queste persone. Avere ciò che basta al mio sostegno, un tetto, quel poco spazio nel tempo di libertà per il sogno; scrivere, dormire: cosa altro potrei chiedere agli Dei o volere dal Destino?
…
…..
FERNANDO PESSOA
CAMPANA A MORTO
(Dobre)
Presi il mio cuore
e lo posi nella mia mano
lo guardai come chi guarda
grani di sabbia o una foglia.
Lo guardai pavido e assorto
come chi sa d’essere morto;
con l’anima solo commossa
del sogno e poco della vita.
Da POESIAS
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6 (155)
Ah, ho capito! Il signor Vasques è la Vita. La Vita, monotona e imprescindibile, legiferante e sconosciuta. Quest’uomo banale rappresenta la banalità della Vita. Egli, all’esterno, è tutto per me, perché la Vita per me è tutta all’esterno.
E se l’ufficio di Rua dos Douradores per me rappresenta la Vita, questo secondo piano dove alloggio, nella stessa Rua dos Douradores, rappresenta per me l’Arte. Sì, l’Arte che alloggia nella stessa strada della Vita, però in un luogo diverso; l’Arte che allevia dalla Vita senza alleviare dal vivere, e che è tanto monotona quanto la vita, ma soltanto in un luogo diverso. Sì, questa Rua dos Douradores abbraccia per me l’intero senso delle cose, la soluzione di tutti gli enigmi; fatto, questo, che non può avere soluzione.
…..
RICARDO REIS
(FERNANDO PESSOA)
DALLA LAMPADA NOTTURNA…
(Da lâmpada nocturna…)
Dalla lampada notturna
guizza la fiamma
e alta la stanza vacilla.
Gli dèi concedono
ai tranquilli credenti
che mai loro tremoli
la fiamma della vita
perturbando l’aspetto
delle cose circostanti,
ma ferma e slanciata
come preziosa
e antica pietra,
conservi la sua calma
bellezza continua.
Da ODES
…..
FERNANDO PESSOA
QUARTINE DI GUSTO POPOLARE
(Quadras ao gosto popular)
1
Le canzonette portoghesi
sono come navi sul mare –
vanno da un’anima all’altra
con rischio di naufragare.
10
Hai il ventaglio spiegato
senza starti a sventolare.
Amore che pensa e che pensa
incomincia o sta per terminare.
85
Ho un libriccino ove scrivo
quando mi scordo di te.
È un libro coperto di nero
ove nulla ho scritto ancora.
242
Andai a passeggiare nel giardino
senza sapere se aveva fiori:
così passeggia nella vita
chi ha o non ha amori.
Da POESIAS
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7 (63)
…
Domani anch’io scomparirò da Rua da Prata, da Rua dos Douradores, da Rua dos Fanqueiros. Domani anch’io – l’anima che sente e pensa, l’universo che io sono per me stesso – sì, domani anch’io sarò soltanto uno che ha smesso di passare in queste strade, uno che altri evocheranno vagamente con un “che ne sarà stato di lui?”. E tutto quanto ora faccio, quanto ora sento e vivo non sarà niente di più che un passante in meno nella quotidianità delle strade di una città qualsiasi.
…..
FERNANDO PESSOA
C’È A PELO DELL’ACQUA…
(Paira à tona de água…)
C’è a pelo dell’acqua
una vibrazione,
c’è una vaga pena
dentro il mio cuore.
Non è perché la brezza
o quel che si voglia
muova questa indecisa
vibrazione che oscilla,
né è perché io senta
un dolore qualsiasi.
La mia anima è indistinta,
non sa ciò che vuole.
È un dolore sereno,
soffre perché vede.
Provo tanta pena!
Sapessi io di che!…
Da POESIAS
…..
10 (28)
All’improvviso oggi ho dentro una sensazione assurda e giusta. Ho capito, con una illuminazione segreta, di non essere nessuno. Nessuno, assolutamente nessuno. Nel balenìo del lampo quella che avevo creduto essere una città era una radura deserta; e la luce sinistra che mi ha mostrato me stesso non ha rivelato nessun cielo sopra di essa. Sono stato derubato dal poter esistere prima che esistesse il mondo. Se sono stato costretto a reincarnarmi, mi sono reincarnato senza di me, senza essermi reincarnato.
Io sono la periferia di una città inesistente, la chiosa prolissa di un libro non scritto. Non sono nessuno, nessuno. Non so sentire, non so pensare, non so volere. Sono una figura di un romanzo ancora da scrivere, che passa aerea e sfaldata senza aver avuto una realtà, fra i sogni di chi non ha saputo completarmi.
Penso in continuazione, sento in continuazione; ma il mio pensiero è privo di raziocinio, la mia emozione è priva di emozione! Da una botola situata lassù, sto precipitando per lo spazio infinito, in una caduta senza direzione, infinitupla e vuota. La mia anima è un maëlstrom nero, una vasta vertigine intorno al vuoto, un movimento di un oceano senza confini intorno ad un buco nel nulla, e nelle acque, che più che acque sono turbini, galleggiano le immagini di ciò che ho visto e sentito nel mondo: vorticano case, volti, libri, casse, echi di musiche e spezzoni di voci in un turbine sinistro e senza fondo.
E io, proprio io, sono il centro che esiste soltanto per una geometria dell’abisso; sono il nulla intorno a cui questo movimento gira, come fine a se stesso, con quel centro che esiste solo perché ogni cerchio deve possedere un centro. Io, proprio io, sono il pozzo senza pareti ma con la resistenza delle pareti, il centro del tutto con il nulla intorno.
E in me è come se l’inferno ridesse, senza neppure l’umanità di diavoli che ridono, la follia starnazzante dell’universo morto, il cadavere girante dello spazio fisico, la fine di tutti i mondi che fluttua oscuramente al vento, disforme, fuori del tempo, senza un Dio che l’abbia creata, senza neppure se stessa che sta girando nelle tenebre delle tenebre, impossibile, unica, tutto.
Poter saper pensare! poter saper sentire!
Mia madre è morta molto presto, ed io non l’ho conosciuta…
…..
ÁLVARO DE CAMPOS
(FERNANDO PESSOA)
ALLA FINE DI TUTTO DORMIRE…
(No fim de tudo dormir…)
Alla fine di tutto dormire.
Alla fine di che?
Alla fine di ciò che tutto sembra essere…
questo piccolo universo provinciale tra gli astri,
questo paesino dello spazio,
e non solo dello spazio visibile, ma persino dello spazio totale.
Da POESIAS
…..
12 (67)
20.6.1931
…
Il mio desiderio è fuggire. Fuggire da ciò che conosco, fuggire da ciò che è mio, fuggire da ciò che amo. Desidero partire: non verso le Indie impossibili o verso le grandi isole a Sud di tutto, ma verso un luogo qualsiasi, villaggio o eremo, che possegga la virtù di non essere questo luogo.
…
…..
FERNANDO PESSOA
DOPO LA FIERA
(Depois da feira)
Vagolanti vanno per la strada,
cantando senza ragione
l’ultima speranza data
all’ultima illusione.
Non significano nulla.
Sono mimi e buffoni.
Vanno uniti e diversi
sotto una luna da vedere,
in che sogni immersi
non saprebbero dire,
e cantano quei versi
che ricordano senza volere.
Paggi di mito defunto,
tanto lirici, tanto soli!,
non hanno nella voce un grido,
hanno appena la propria voce;
e li ignora l’infinito
che ignora anche noi.
Da POESIAS
…..
17 (96)
La tragedia principale della mia vita è, come ogni tragedia, un’ironia del Destino. Rifiuto la vita reale come una condanna; rifiuto il sogno come una liberazione ignobile. Ma vivo la parte più sordida e più quotidiana della vita reale; e vivo la parte più intensa e più costante del sogno.
…
…..
ÁLVARO DE CAMPOS
(FERNANDO PESSOA)
DE LA MUSIQUE
(De la musique)
Ah, a poco a poco, tra gli alberi antichi,
la figura di lei emerge e io cesso di pensare…
A poco a poco, dall’angoscia di me vado io stesso emergendo…
Le due figure s’incontrano sulla radura presso il lago…
…Le due figure sognate,
perché questo fu solo un raggio di luna e una tristezza mia,
e un’idea di altra cosa,
e il risultato di esistere…
Davvero, si sarebbero incontrate le due figure
sulla radura presso il lago?
(…Ma se non esistono?…)
…Sulla radura presso il lago?…
Da POESIAS
…..
20 (56)
Una sola cosa mi meraviglia più della stupidità con la quale la maggior parte degli uomini vive la sua vita: l’intelligenza che c’è in questa stupidità.
…
Il saggio è colui che riesce a rendere monotona l’esistenza, poiché allora ogni piccolo incidente possiede il privilegio di stupirlo.
…
…..
FERNANDO PESSOA
VA ROTONDA E ALTA…
(Vai redonda e alta…)
Va rotonda e alta
la luna. Che dolore
è in me un amore?…
Non so che mi manca…
Non so quel che voglio,
né posso sognarlo…
Come il chiaro di luna è rado,
sul suolo austero e vago!…
Mi metto a sorridere
all’idea di me…
E tanto triste, così
come chi sta a udire
una voce che lo chiama
ma non sa da dove
(voce che in sé si nasconde)
e solo essa ama…
E tutto ciò è chiar di luna
e il mio dolore
resosi esteriore
al mio meditare…
Che conturbamento!
Che inquieta illusione!
E questa sensazione
vana, di essere cieco
nel mio pensiero,
nella mia volontà…
Ah la soavità
del chiar di luna senza tormento
che batte sull’anima
di chi solo senta
il chiar di luna, e esista
solo per la sua calma.
Da POESIAS
…..
25 (12)
…
In questi miei appunti sconnessi, e che non ambiscono ad avere un nesso, racconto con indifferenza la mia autobiografia priva di avvenimenti, la mia storia priva di vita. Sono le mie confessioni, e se in esse non dico niente è perché non ho niente da dire.
…
Mi srotolo come una matassa multicolore oppure invento con me stesso delle figure di spago come quelle che fra bambini si tessono con le dita aperte e si passano da un bambino all’altro. L’unica cosa che mi sta a cuore è che il pollice non sbagli il laccio che gli spetta. Poi giro la mano e l’immagine cambia. E io ricomincio.
…
…..
ÁLVARO DE CAMPOS
(FERNANDO PESSOA)
DEMOGORGONE
(Demogorgon)
Sulla via piena di sole vago ci sono case immobili e gente che cammina.
Una tristezza colma di paura mi raggela.
Presento un avvenimento dall’altro lato delle facciate e dei movimenti.
No, no, questo no!
Tutto salvo sapere cos’è il Mistero!
Superficie dell’Universo, o Palpebre Calate, non vi sollevate mai!
Lo sguardo della Verità Finale non dev’essere sopportabile!
Lasciatemi vivere senza sapere nulla, e morire senza venire a sapere nulla!
La ragione che ci sia essere, la ragione che ci siano esseri, che ci sia tutto,
deve portare una follia più grande degli spazi
tra le anime e le stelle.
No, no, la verità no! Lasciatemi queste case e questa gente;
proprio così, senza più nulla, queste case e questa gente…
Quale carezza orribile e fredda mi sfiora gli occhi chiusi?
Non li voglio aprire da vivo! O verità, dimenticati di me!
Da POESIAS
…..
30 (142)
Una delle mie preoccupazioni costanti è capire com’è che esista altra gente, com’è che esistano anime che non sono la mia anima, coscienze estranee alla mia coscienza; la quale, proprio perché è coscienza, mi sembra essere l’unica possibile. Capisco che colui che sta di fronte a me e che mi parla con parole uguali alle mie, o fa dei gesti analoghi a quelli io faccio o potrei fare, sia in qualche modo un mio simile. Eppure mi succede la stessa cosa con le figure delle illustrazioni che sogno, con i personaggi di romanzo che leggo, con le persone da dramma che si avvicendano sul palcoscenico attraverso gli attori che le interpretano.
…
…..
FERNANDO PESSOA
FA TACERE IL TUO CANTO!…
(Cessa o teu canto!…)
Fa tacere il tuo canto!
Fa tacere, che, mentre
l’udii, udivo
un’altra voce,
come venisse
negli interstizi
del dolce incanto
con cui il tuo canto
veniva a noi.
Ti udii e la udii
nello stesso tempo
e differenti
congiunte cantare.
E la melodia
che non c’era,
se ora la ricordo,
mi fa lacrimare.
Fu la tua voce
incantamento
che, senza volere,
in quel momento,
vago svegliò
un essere qualsiasi
estraneo a noi
che ci parlò?
Non so. Non cantare!
Lasciami udire
quale è il silenzio
che subito segue
al tuo canto!
Ah, nulla, nulla!
Solo il cruccio
di avere udito,
di avere voluto
udire al di là
del senso proprio
che ha una voce.
Quale angelo, al tuo
levar la voce,
a tua insaputa
calando venne
su questa terra
ove l’anima erra
e con le ali
ravvivò le braci
d’ignoto focolare?
Più non cantare!
Voglio il silenzio
per addormire
qualsiasi memoria
della voce udita,
incompresa,
che andò perduta,
perché l’udii…
Da POESIAS
…..
47 (102)
…
Ogni cosa è vana come rimestare la cenere, vaga come il momento in cui non è ancora l’alba.
…
…..
ÁLVARO DE CAMPOS
(FERNANDO PESSOA)
DEPOSI LA MASCHERA E MI VIDI ALLO SPECCHIO…
(Depus a máscara e vi-me ao espelho…)
Deposi la maschera e mi vidi allo specchio…
Ero il bimbo di tanti anni fa.
Non ero affatto cambiato…
È questo il vantaggio di sapersi togliere la maschera.
Si è sempre il bimbo,
il passato che fu
il bimbo.
Deposi la maschera, e tornai a metterla.
Così è meglio,
così senza la maschera.
E torno alla persona come a un capolinea.
Da POESIAS
…..
62 (34)
Ho creato in me varie personalità. Ogni mio sogno, appena lo comincio a sognare, è incarnato in un’altra persona che inizia a sognarlo, e non sono io.
…
…..
FERNANDO PESSOA
FAVOLE DELL’INTERLUDIO I
(Ficções do interlúdio I)
Plenilunio
Le ore lungo il viale
trascinano vesti di seta,
vesti di seta sognata
lungo il viale profondo
sotto il turchino della luna…
E s’ode nell’aria che spira –
che spira senza mai spirare –
un flauto che delira,
ch’è più l’idea di udirlo
che udirlo quasi tranquillo
per l’aria che ondeggia e che va…
Silenzio scintillante…
Da POESIAS
…..
90 (54)
…
Potrei veramente rendere quest’ora solenne comprando delle banane, perché mi pare che in esse si sia proiettato tutto il sole della giornata come un riflettore privo di origine. Ma ho pudore dei rituali, dei simboli, di comprare cose per la strada. Le banane potrebbero essere male incartate, potrebbero essermi vendute come non devono essere vendute, perché io non saprei comprarle come devono essere comprate. Qualcuno potrebbe trovare strana la mia voce nel chiedere il prezzo. È meglio scrivere che osar vivere, anche se vivere non è altro che comprare banane al sole, finché c’è il sole e ci sono banane da vendere.
Più tardi, forse… Sì, più tardi… Un altro, forse… Non so…
…..
ÁLVARO DE CAMPOS
(FERNANDO PESSOA)
DOV’ERANO PALAZZI DESERTI E IN ROVINA…
(No lugar dos palácios desertos e em ruínas…)
Dov’erano palazzi deserti e in rovina
sulla riva del mare,
leggiamo, sorridendo, i segreti della sorte
di chi sa amare.
Qualunque sia, il destino di quelli
che l’amore sospinse
verso l’ombra, o nella luce si fece l’ombra loro,
qualunque fosse il volo,
certo essi furono più reali e felici.
Da POESIAS
…..
92 (175)
18.9.1933
…
Il tedio non è la malattia della noia di non aver nulla da fare, ma una malattia maggiore: sentire che non vale la pena di fare alcunché. E poiché è così, quanto più c’è da fare, tanto più tedio bisogna sentire.
…
…..
FERNANDO PESSOA
FU UN MOMENTO…
(Foi um momento…)
Fu un momento
quello in cui posasti
sul mio braccio,
in un movimento
più di stanchezza
che di pensiero,
la tua mano
e la ritirasti.
Sentii o no?
Non so. Ma ricordo
e sento ancora
qualche memoria
fissa e corporea
ove posasti
la mano che ebbe
qualche senso
incompreso,
ma tanto lieve!…
Tutto questo è nulla:
su una strada però
com’è la vita
c’è molto
di incompreso…
Che so io se quando
la tua mano
sentii posarsi
sul mio braccio,
e un poco, un poco,
sul cuore,
non ci fu un ritmo
nuovo nello spazio?
Come se tu,
senza volerlo,
mi toccassi
per dire
qualche mistero,
improvviso ed etereo,
che neppure sapevi
dovesse esistere.
Così la brezza
dice sui rami
senza saperlo
un’imprecisa
cosa felice.
Da POESIAS
…..
96 (89)
…
Pieno di tristezza scrivo, nella mia stanza tranquilla, solo come sono sempre stato, solo come sempre sarò. E penso se la mia voce, apparentemente così incolore, non possa incarnare la sostanza di migliaia di voci, la fame di raccontarsi di migliaia di vite, la pazienza di milioni di anime sottomesse come la mia, nel destino quotidiano, al sogno inutile, alla speranza senza memoria.
…
…..
ALBERTO CAEIRO
(FERNANDO PESSOA)
IL GUARDIANO DI GREGGI XXIII
(O guardador de rebanhos XXIII)
Il mio sguardo azzurro come il cielo
è calmo come l’acqua al sole.
È così, azzurro e calmo,
perché non interroga né si sorprende…
Se interrogassi e mi sorprendessi
non nascerebbero fiori nuovi sui prati
né muterebbe qualunque cosa nel sole sì che divenisse più bello…
(Anche se nascessero fiori nuovi sul prato
e il sole si mutasse in più bello,
sentirei meno fiori sul prato
e troverei più brutto il sole…
Perché tutto è com’è e così è,
e accetto, e non ringrazio,
perché non sembri che ci penso…)
Da POEMAS COMPLETOS
…..
108 (125)
…
Qualsiasi sogno è lo stesso sogno, perché tutti sono ugualmente sogni. Che gli Dei cambino a loro piacimento i miei sogni, ma non il dono di sognare.
…
…..
FERNANDO PESSOA
GALLEGGIANO LIEVI, DISTRATTI…
(Bóiam leves, desatentos…)
Galleggiano lievi, distratti,
i miei dolorosi pensieri,
come, nel sonno dei venti,
le alghe, lenti capelli
del corpo morto dell’acque.
Come foglie morte galleggiano
sul pelo dell’acque ferme.
Son cose che veston le assenze,
polveri a mulinar sulle porte
delle case abbandonate.
Sonno d’essere, senza rimedio,
vestigio di ciò che non fu,
lieve pena, breve tedio,
non so se posa, se scorre;
non so se esiste o se duole.
Da POESIAS
…..
116 (166)
Da molto, non so se da giorni o se da mesi, non registro alcuna impressione; non penso, dunque non esisto. Ho dimenticato chi sono; non so scrivere perché non so essere. Attraverso un’obliqua sonnolenza sono stato un altro. Sapere che non mi ricordo è svegliarmi.
…
…..
ÁLVARO DE CAMPOS
(FERNANDO PESSOA)
IL SONNO CHE DISCENDE SU DI ME…
(O sono que desce sobre mim…)
Il sonno che discende su di me,
il sonno mentale che scende fisicamente su di me,
il sonno universale che scende individualmente su di me –
quel sonno
sembrerà agli altri il sonno di dormire,
il sonno della volontà di dormire,
il sonno dell’essere sonno.
Ma è di più, più di dentro e più di sopra:
è il sonno della somma di tutte le disillusioni,
è il sonno della sintesi di tutte le disperazioni,
è il sonno dell’esserci gente con me là dentro,
senza che vi abbia per nulla contribuito.
Il sonno che discende su di me,
è tuttavia come tutti i sonni.
La fatica ha almeno dolcezza,
l’abbattimento ha almeno quiete,
la resa è almeno fine dello sforzo,
la fine è almeno non nutrire più speranze.
C’è un rumore di finestra che s’apre,
indifferente giro il capo a sinistra
sopra la spalla che lo sente,
guardo per la finestra semichiusa:
la ragazza del secondo piano di fronte
con gli occhi azzurri si sporge in cerca di qualcuno.
Di chi?
domanda la mia indifferenza.
E tutto questo è sonno.
Mio Dio, tanto sonno!…
Da POESIAS
…..
117 (463)
Litania
Noi non ci realizziamo mai. Siamo due abissi: un pozzo che fissa il Cielo.
…..
FERNANDO PESSOA
IL GIRASOLE
I
Tutte le cose che brillano sono occhi di Dio.
Tutte le cose che si muovono sono parole di Dio.
Ogni cosa ha tutto da insegnare
al nostro presunto risveglio.
Verdi sono i pensieri di Dio quando sono foglie,
gialli quando sono girasoli.
Eppure essi splendono separati e lontani
dalle mani con le quali Dio tesse.
I miei passi sulla terra sono leggeri
eppure echeggiano nello spazio,
nei terribili abissi che vedono
Dio da quel lato mai trovato.
II
I miei sogni sono baci di angeli.
Mi toccano dolcemente il cuore,
silenziosi adombrano le carezze.
Sono la mia parte più divina.
C’è un fiore nella mia mano.
Non è colto nei campi.
Dio guarda e può capire,
perché Egli è il sognatore che costruisce.
Egli sa come nascono i sogni,
sa come i fiori diventano allegri.
Guarda: alzo la mia coppa
e Dio mi dà il vino che mi fa impazzire.
Da CANTI NEL DORMIVEGLIA
…..
118 (322)
1.12.1931
Nonostante che io sia così incline al tedio, è curioso che fino ad oggi non mi sia mai venuto in mente di riflettere in che cosa il tedio consista. Oggi la mia anima fluttua in quel limbo nel quale non si ha voglia della vita né di un’altra cosa. E utilizzo l’improvviso ricordo del fatto di non aver mai riflettuto sul tedio per immaginare, con pensieri e impressioni, di farne un’analisi fittizia.
Non so in verità se il tedio è soltanto il corrispondente desto della sonnolenza del vagabondo; se è qualcosa di più nobile di quel torpore. In me il tedio è frequente, ma, che io sappia, non obbedisce a regole di apparizione. Mi succede di passare senza tedio una stanca domenica; posso esserne coperto all’improvviso, come da una nuvola, mentre lavoro alacremente. Non riesco a metterlo in rapporto con la salute o con la mancanza di salute; non riesco a conoscerlo come un prodotto di cause che appartengono al lato conosciuto di me stesso
Dire che è un’angustia metafisica travestita, che è una grande delusione incognita, che è una poesia sorda dell’anima che si affaccia annoiata dalla finestra della vita: dire questo, o una cosa analoga, può colorare il tedio, come un bambino colora un disegno sorpassando e cancellandone i contorni, ma mi porta soltanto un suono di parole che risuona nei sotterranei del pensiero.
Il tedio… Pensare senza che si pensi, con la stanchezza di pensare; sentire senza che si senta, con l’angoscia del sentire; non volere senza che non si voglia, con la nausea di non volere: tutto questo sta nel tedio senza che ciò sia il tedio, e del tedio è soltanto una parafrasi o una traslazione. Consiste in una sensazione diretta, come se sopra il fossato del castello dell’anima si alzasse il ponte levatoio e fra il castello e le terre circostanti restasse il poterle guardare senza poterle percorrere. È un isolamento di noi in noi stessi, ma un isolamento dove ciò che separa è stagnante come lo siamo noi: acqua sporca che circonda la nostra impossibilità di capire.
Il tedio… Soffrire senza sofferenza, volere senza volontà, pensare senza raziocinio… È come l’essere posseduti da un demonio al negativo, come una stregoneria indiretta. Dicono che gli stregoni o le fattucchiere, fabbricando una nostra immagine e facendole del male possano fare sì che quel male, grazie a una trasposizione astrale, si rifletta su di noi. Attraverso questa immagine, il tedio mi appare come il riflesso dei malefici di un demonio delle fate, diretti non sulla mia immagine ma sulla sua ombra. È nella mia ombra intima, nella superficie del profondo della mia anima che vengono incollati foglietti o vengono infilzati degli spilli. Io sono come l’uomo che ha venduto la sua ombra o meglio, come l’ombra dell’uomo che l’ha venduta.
Il tedio… Eppure io sono un uomo che lavora. Assolvo a quello che i moralisti chiamerebbero il dovere sociale. Assolvo a questo dovere, o a questo fato, senza grande applicazione o negligenza. Eppure, sia mentre lavoro che mentre riposo (riposo che, secondo gli stessi moralisti, mi spetta e deve aggradarmi) il mio spirito trabocca di un fiele di inerzia, e sono stanco, non del lavoro o del riposo, ma di me.
Perché di me, visto che non pensavo a me? Di cosa altro mai, visto che non pensavo a niente? È forse il mistero dell’universo che lambisce il mio ozio o il mio libro della contabilità? È il dolore universale di vivere che si concretizza all’improvviso nella mia anima medianica? Ma perché nobilitare tanto una persona che come me non conosce neppure se stessa? È una sensazione di vuoto, una fame senza appetito, nobile quanto i riflessi dei nervi dello stomaco, causati dalle troppe sigarette o dalla cattiva digestione.
Il tedio… Forse è l’insoddisfazione dell’anima perché non le abbiamo dato una fede; è la desolazione di quel bambino triste che dentro di noi siamo perché non gli abbiamo comprato il giocattolo divino.
Forse è l’insicurezza di chi ha bisogno di essere guidato per mano e nella strada buia della sensazione profonda avverte soltanto la notte silenziosa del non poter pensare, la strada deserta del non saper sentire…
Il tedio… Chi ha un dio non prova mai tedio. Il tedio è la mancanza di una mitologia. Per chi è privo di fede perfino il dubbio è impossibile, perfino lo scetticismo non ha forza di dubitare. Sì, Il tedio è questo: la perdita, dentro l’anima, della capacità di illusione, la mancanza, nel pensiero, delle scale inesistenti grazie alle quali il pensiero ascende fiducioso fino alla verità.
…..
FERNANDO PESSOA
LA MORTE ÈLA CURVA DELLA STRADA…
(A morte è a curva da estrada…)
La morte è la curva della strada,
morire è solo non esser visto.
Se ascolto, odo il tuo passo
esistere come io esisto.
La terra è fatta di cielo.
La menzogna non ha nido.
Mai nessuno s’è perduto.
Tutto è verità e cammino.
Da POESIAS
…..
ALBERTO CAEIRO
(FERNANDO PESSOA)
POEMI DISGIUNTI
VA ALTA NEL CIELO LA LUNA DELLA PRIMAVERA…
(Vai alta no céu a lua da primavera…)
Va alta nel cielo la luna della primavera.
Penso a te e dentro di me sono completo.
Corre per i vaghi campi fino a me una brezza leggera.
Penso a te, mormoro il tuo nome; e non sono io: sono felice.
Domani verrai, andrai con me a cogliere fiori per la campagna,
e io andrò con te per i campi a vederti cogliere fiori.
Ti vedo già domani a cogliere fiori con me per i campi,
poiché quando verrai domani e andrai con me in campagna a cogliere fiori,
questo sarà una gioia e una verità per me.
Da POEMAS COMPLETOS
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120 (338)
…
Se un giorno la mia capacità espressiva diventasse così vasta da ospitare tutta l’arte, scriverei un’apoteosi del sonno. Non conosco maggiore piacere del sonno, la cancellazione totale della vita e dell’anima, il commiato dall’essere e dagli uomini, la notte senza memoria e senza illusione, la mancanza di passato e di futuro [… ].
…..
FERNANDO PESSOA
LE ISOLE FORTUNATE
(As ilhas afortunadas)
Quale voce giunge sul suono delle onde
che non è la voce del mare?
È la voce di qualcuno che ci parla,
ma che, se ascoltiamo, tace,
perché si è ascoltato.
E solo se, mezzo addormentati,
senza sapere di udire, udiamo,
essa ci dice la speranza
cui, come un bambino
dormiente, dormendo sorridiamo.
Sono isole fortunate,
sono terre che non hanno sito,
ove il Re dimora aspettando.
Ma, se ci andiamo svegliando,
tace la voce, e c’è solo il mare.
Da MENSAGEM
…..
132 (198)
7.4.1933
Sono passato come uno straniero in mezzo a loro, ma nessuno ha capito che lo ero. Sono vissuto come una spia in mezzo a loro e nessuno, nemmeno io, ha sospettato che io lo fossi. Tutti mi credevano un parente: nessuno sapeva che ero stato scambiato alla nascita. Così sono stato uguale agli altri senza somigliare a loro, fratello di tutti senza appartenere alla famiglia.
Venivo da terre prodigiose, da paesaggi più belli della vita, ma non ho mai parlato di quelle terre se non a me stesso. E di quei paesaggi visti in sogno non ho mai dato notizia a nessuno. I miei passi erano uguali ai passi altrui, sugli impiantiti o sui lastricati, ma il mio cuore era lontano, anche se batteva vicino, signore falso di un corpo esiliato ed estraneo.
Nessuno mi ha riconosciuto sotto la maschera dell’identità con gli altri, né ha mai saputo che ero maschera, perché nessuno sapeva che a questo mondo esistono i mascherati. Nessuno ha supposto che a mio lato ci fosse sempre un altro che in fondo ero io. Mi hanno sempre creduto identico a me stesso.
…
…..
FERNANDO PESSOA
LE ORE
Le ore sono stanche di essere ore.
Oh, poter essere qualcos’altro! esse dicono.
Il nostro compito è quello di far crescere i bambini, le speranze e i fiori,
di dar colore alle labbra fredde e ai capelli grigi.
Esse indeboliscono e rattristano e spengono la bellezza.
Quando passano e si guardano indietro,
delineando il sentiero del loro compiuto dovere,
non trovano che lacrime.
Così, oh, poter essere qualcos’altro! esse dicono
poiché ritengono di sapere
che le cose e i pensieri che si portano via
realmente sbiadiscono e se ne vanno.
Ma esse non sanno, avide cieche che nascondono
una falsa ricchezza tramutata in ladro,
che tutto ha un altro Significato –
Ah, persino Dio.
Da CANTI NEL DORMIVEGLIA
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141 (214)
A tutti i viventi invidio il fatto di non essere me. Dato che, di tutte le cose impossibili, questa mi è sempre sembrata la cosa più impossibile, è stata quella che più è diventata la mia ansia quotidiana, la mia disperazione di tutte le ore tristi.
…..
RICARDO REIS
(FERNANDO PESSOA)
SI, SO BENE…
(Sim, sei bem…)
Si, so bene
che mai sarò qualcuno.
So d’avanzo
che mai avrò un’opera.
So, infine,
che mai saprò di me.
Sì, ma adesso,
finché dura quest’ora,
questa luna, questi rami,
questa pace in cui stiamo,
lascino che mi creda
quel che mai potrò essere.
Da ODES
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153 (235)
…
Un semplice invito a cena con un amico mi causa un’angustia difficile da definire. L’idea di un qualsiasi obbligo sociale (andare a un funerale, occuparmi con qualcuno di un problema dell’ufficio, andare a ricevere alla stazione una persona qualsiasi, conosciuta o sconosciuta), soltanto l’idea mi sconvolge i pensieri per l’intera giornata, e a volte mi preoccupo fin dalla vigilia, dormo male; e poi il fatto in sé quando si verifica, è un fatto assolutamente insignificante, non giustifica tanti problemi; ma la cosa si ripete e io non imparo mai a imparare.
…
…..
FERNANDO PESSOA
IL RE DELLE BRECCE
È vissuto, non so quando, forse mai –
ma di fatto è vissuto – un re sconosciuto
il cui Regno era lo strano Regno delle Brecce.
Egli era sovrano di ciò che era tra una cosa e l’altra,
dell’infraessere, di quel lato di noi
che giace tra la nostra veglia e il nostro sonno,
tra il nostro silenzio e le nostre parole, tra
noi e la coscienza di noi; e così
uno strano silenzioso regno ha tenuto quel misterioso
re nascosto alla nostra idea del tempo e dello spazio.
Egli governa, non coronato, quei supremi propositi che
non raggiungono mai l’azione – tra essi stessi e
l’azione incompiuta. Egli è il mistero che
si interpone tra gli occhi e la vista, né cieco né vedente.
Egli stesso non ha avuto mai fine né principio,
vuota mensola al di sopra della sua vana presenza.
Egli non è se non l’abisso del proprio essere,
una scatola scoperta che contiene la non-ricchezza del non-essere.
Tutti credono che sia Dio, tranne lui stesso.
Da LA TORCIA CADUTA
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168 (290)
2.5.1932
…
La vita è un gomitolo che qualcuno ha aggrovigliato. Essa ha un senso se è srotolata e disposta in linea retta, o ben arrotolata. Ma, così com’è, è un problema senza nucleo, un avvolgersi senza un dove attorno a cui avvolgersi
…
…..
FERNANDO PESSOA
LA FINESTRA INFRANTA
Il mio cuore è silenzioso come uno sguardo.
C’è una casa al di là delle colline.
Il mio cuore è silenzioso come uno sguardo.
La mia casa è lì, dietro le colline.
Sopporto il mio cuore come una vecchia maledizione.
Non c’è ragione per il rimpianto.
Sopporto il mio cuore come una vecchia maledizione.
Perché mai argomentare o rimpiangere?
Il mio cuore vive in me come un fantasma.
Al di là delle colline giace morta la mia speranza.
Il mio cuore vive presso di me come un fantasma.
Al di là della mia speranza giacciono morte le colline.
Mi hanno strappato il cuore come la gramigna.
Non era vero che avrei dovuto vivere.
Mi hanno strappato il cuore come la gramigna.
Non potevo pensare che vivere fosse vero.
Ora ci sono grandi macchie nel mio cuore.
Ci sono macchie simili al sangue sul pavimento.
Ora ci sono grandi macchie nel mio cuore.
E il mio cuore giace sul pavimento.
La stanza ora è chiusa per sempre.
Il mio cuore ora è sepolto vivo.
Il mio cuore ora è chiuso per sempre.
Tutta la stanza è sepolta viva.
Da IL GIARDINO DEL DELIRIO
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170 (293)
…
Un bel giorno che ignoro mi sono trovato a questo mondo e fino a quel giorno ero vissuto senza accorgermene, evidentemente da quando nacqui. Quando ho chiesto dov’ero tutti mi hanno ingannato e tutti si contraddicevano. Quando ho chiesto di indicarmi quello che dovevo fare, tutti mi hanno parlato falsamente e ognuno mi ha detto una cosa diversa. Quando mi sono fermato per strada perché non sapevo dove andare, tutti si sono stupiti che io non proseguissi verso un dove che nessuno sapeva cosa fosse, o che io non ritornassi indietro: io, che sveglio all’incrocio, non sapevo da dov’ero venuto. Mi sono trovato sul palco senza conoscere la parte che gli altri recitavano senza indugio, anche se non la sapevano a loro volta. Mi sono accorto di essere vestito da paggio, e non mi avevano dato una regina, incolpandomi perché non l’avevo. Mi sono accorto di tenere fra le mani un messaggio da consegnare, e quando ho detto che il foglio era bianco hanno riso di me. E ancora non so se hanno riso perché tutti i fogli sono bianchi o perché tutti i messaggi sono presumibili.
Alla fine mi sono seduto sulla pietra di un crocicchio come al focolare che non ebbi. E ho cominciato, fra me e me, a costruire barche di carta con le bugie che mi erano state date. Nessuno ha voluto credere in me, neppure come a un bugiardo, e non avevo uno specchio d’acqua nel quale provare la mia verità.
…
…..
FERNANDO PESSOA
LA POESIA
Nella mia mente è sopita una poesia
che esprimerà la mia anima intera.
Lo sento vaga come il suono e il vento
eppure scolpita in piena chiarezza.
Non ha strofa, verso né parola.
Non è neppure come la sogno.
È un mero sentimento, indefinito,
una felice bruma intorno al pensiero.
Giorno e notte nel mio mistero
la sogno, la leggo e riprovo a sillabarla,
e sempre la parola precisa è sul bordo di me stesso
come per librarsi nella sua vaga compiutezza.
So che non sarà mai scritta.
So che non so che cosa sia.
Ma sono contento di sognarla,
e una falsa felicità, benché falsa, è felicità.
Da IL LAGO LUCENTE
…..
171 (294)
…
Ho fatto naufragio senza tempesta in un mare nel quale si tocca il fondo con i piedi.
…
Quando si è giocato a domino, che si sia vinto o che si sia perso, dobbiamo capovolgere le pedine, e il gioco finito è nero.
…..
FERNANDO PESSOA
PIOGGIA OBLIQUA IV
(Chuva oblíqua IV)
Che tamburelli il silenzio di questa stanza!…
Le pareti stanno nell’Andalusia…
Vi sono danze sensuali nel brillio fisso della luce…
All’improvviso tutto lo spazio si ferma…,
si ferma, scivola, si sbroglia…,
e in un angolo del soffitto, molto più lontano di dov’è,
aprono bianche mani finestre segrete
ed ecco mazzi di violette che cadono
poi che fuori c’è notte di primavera
sul mio stare ad occhi chiusi…
Da POESIAS
…..
172 (298)
19.6.1934
…
Provo pena soltanto per il fatto di non saper essere chi può provare pena.
…
…..
ÁLVARO DE CAMPOS
(FERNANDO PESSOA)
MAGNIFICAT
(Magnificat)
Quand’è che passerà questa notte interiore, l’universo,
ed io, la mia anima, avrò il mio giorno?
Quand’è che mi desterò dallo stare desto?
Non so. Il sole brilla alto,
impossibile a guardare.
Le stelle ammiccano freddo,
impossibili a contare.
Il cuore batte estraneo,
impossibile ad ascoltare.
Quand’è che passerà questo dramma senza teatro,
o questo teatro senza dramma,
e mi ritirerò a casa?
Ove? Come? Quando?
Gatto che mi guardi con occhi di vita, chi hai là in fondo?
È questi! È questi!
Questi comanderà come Giosuè che il sole si fermi e io mi desterò;
e allora sarà giorno.
Sorridi, dormendo, anima mia!
Sorridi, anima mia, sarà giorno!
Da POESIAS
…..
204 (456)
…
Seduto su questa sedia, dimentico la vita che mi opprime. E mi addolora soltanto il fatto che essa mi abbia addolorato.
…..
FERNANDO PESSOA
L’ISOLA
Piangete, violino e viola
piccolo flauto e bel fagotto.
Ecco, un’isola incantata
specchio di luna sotto la luna!
I miei passi-sogno l’attraversano con un fruscio
intersecato di ombra e luce.
Ah, potesse la mia anima non desiderare che questo
dal suo essere niente altro che un sogno!
Violino, viola e flauto.
Ecco, l’isola è sospesa nell’aria!
In essa vado errando, silenzioso
e indifferente.
E nell’aria dove non c’è aria,
ma la luce della luna.
I suoi sentieri sono noti ad ogni nota
della viola e del fagotto.
Ma è reale quell’isola,
come le nostre chiare isole mortali?
Forse il flauto, la viola e il fagotto
dischiudono una porta
e mostrano in qualche modo, in qualche luogo,
a ciò che guarda fuori di me,
quella rara isola sospesa
in un mare intessuto di luna?
Forse è più vera della nostra.
E queste sono vere? Ma ecco!
Quell’isola che non conosce le ore
né ha bisogno di conoscerle,
e che altrove ha conosciuto
la verità e l’origine della luna,
si dilegua nell’evanescenza del flauto,
del violino e del fagotto.
Da THE MAD FIDDLER
…..
206 (456)
Seconda parte
…
Cercando la maniera migliore, unicamente per il piacere di analizzarmi, vorrei tradurre in parole i processi mentali che in me sono uno solo: quello di una vita dedicata al sogno, di un’anima educata soltanto a sognare.
Osservandomi dal di fuori, come quasi sempre mi osservo, mi sembro incapace di una vita pratica, turbato di dover fare passi e gesti, inabile a parlare con gli altri, privo di lucidità interiore per intrattenermi con ciò che mi impegna lo spirito, e privo di resistenza fisica per applicarmi a un puro meccanismo lavorativo.
…
Le cose sono la materia dei miei sogni, perciò concedo un’attenzione distrattamente attenta ai particolari dell’Esterno.
Per dare rilievo ai miei sogni ho bisogno di conoscere in che modo i paesaggi reali e i personaggi della vita ci sembrano rilevanti. Perché lo sguardo del sognatore non assomiglia allo sguardo di colui che vede le cose. Nel sogno non è possibile posare lo sguardo sull’aspetto importante o su quello non importante di un oggetto, come avviene nella realtà. Il sognatore vede soltanto l’aspetto più importante. La realtà vera di un oggetto è soltanto una parte di esso; il resto è il pesante tributo che esso paga alla materia in cambio di poter esistere nello spazio.
…
…..
FERNANDO PESSOA
MI RASSEGNO. C’È IN VETTA ALLA MONTAGNA…
(Eu me resigno. Há no alto da montanha…)
Mi rassegno. C’è in vetta alla montagna
un dirupo sporgente,
che, visto da dove ogni cosa è estranea,
da questa valle nascosta,
sembra posto lì affinché noi non l’abbiamo,
affinché, vedendolo lì,
ci contentiamo solo di vederlo
nel nostro eterno qui…
Mi rassegno. Quel dirupo aguzzo
forse raggiungeranno
coloro che nella forza d’andare ripongono tutto.
Per il tuo stesso silenzio assente e muto,
non andare, mio cuore.
Da POESIAS
…..
208 (192)
29.3.1930
…
Il cuore, se potesse pensare, si fermerebbe.
…
Considero la vita una locanda dove debbo fermarmi fino a quando non arriverà la diligenza dell’abisso. Non so dove essa mi porterà perché non so niente. Potrei considerare questa locanda una prigione, perché qui sono costretto ad aspettare; potrei considerarla un luogo di socialità, perché qui mi ritrovo con altri. Eppure non sono né impaziente né uguale agli altri. Lascio coloro che si chiudono in camera e si distendono pigramente sul letto in attesa insonne, lascio costoro a ciò che essi sono. Lascio coloro che chiacchierano nei salotti da dove mi arrivano comodamente musiche e voci, lascio costoro a ciò che essi fanno. Io mi siedo sulla soglia e immergo il mio sguardo e il mio udito nei colori e nei suoni del paesaggio e canto piano piano, per me soltanto, dei vaghi canti che compongo nell’attesa.
Poi, per tutti noi scenderà la notte e arriverà la diligenza. Mi godo la brezza che mi è data e l’anima che fu data per godere la brezza, e non interrogo e non cerco altro. Se ciò che lascerò scritto nel libro dei viandanti, ammesso che qualcuno un giorno lo legga, potrà intrattenere questo qualcuno nella traversata, sarà bene. Se nessuno lo leggerà, se nessuno si intratterrà, sarà bene lo stesso.
…..
FERNANDO PESSOA
MINACCIÒ PIOGGIA. E LA NERA…
(Ameaçou chuva. E a negra…)
Minacciò pioggia. E la nera
nube passò soltanto…
Tutto l’essere mio si rallegra
in uguali allegrie.
Nube che passa… Cielo
che resta e nulla dice…
Vacuo azzurro senza velo
nella terra felice…
E la terra è verde, verde…
Allora perché la mia vista
per i miei sogni si perde?
L’anima mia da cosa dista?
Da POESIAS
…..
209 (195)
…
Noi ci siamo trovati in navigazione, senza avere idea del porto a cui approdare. E così abbiamo ripetuto, in una dolorosa versione, l’avventurosa formula degli argonauti: navigare è necessario, vivere non è necessario.
…
…..
FERNANDO PESSOA
MOMENTI DI UN’ESTATE III
Un vento dolce si è levato
in questo giorno caldo.
Siano perdonati alla mia anima
i suoi sogni! Oh lasciatemi pregare
che questa fresca ora
resti unita alla memoria
e possa anni dopo
rivivere in me!
È ben poco, lo so,
ma è la felicità,
e sono poche le ore
che possiamo realmente benedire.
Sono ore come questa, libere
dall’appartenere al pensare,
quando non abbiamo nulla a cui badare
salvo la brezza che è niente.
Quest’ora, dunque, viva
nella mia memoria,
e possa rivivere ancora
ogni volta che vedrò
il mio cuore farsi greve e ardente,
e i miei pensieri vicini e recenti.
O dolce brezza, soffia sul mio pensiero!
O serenità, sfiora il mio destino!
Da LA SCELTA SBAGLIATA
…..
211 (402)
Per la maggior parte degli uomini la vita è una seccatura passata senza che ce ne accorgiamo; una cosa triste con alcuni intervalli allegri, qualcosa come le barzellette che durante le veglie funebri si raccontano per passare la quiete della notte e l’obbligo della veglia.
…
…..
RICARDO REIS
(FERNANDO PESSOA)
NEL GRANDE GIORNO ANCHE I SUONI SON CHIARI…
(No magno dia até os sonos são claros…)
Nel grande giorno anche i suoni son chiari.
Nel riposo della vasta campagna s’attardano.
Sussurrando, la brezza tace.
Vorrei, come i suoni, vivere delle cose,
ma non essere loro, conseguenza alata
in cui il reale va lungi.
Da ODES
…..
FERNANDO PESSOA
SOGNI ARDENTI DI QUALCOS’ALTRO!
Sogni ardenti di qualcos’altro!
Frenesia di andare via,
(Oh, onda che in me si ingrossa!)
via dalla vita, dove la vita deve rimanere –
vita sempre fino a oggi!
Altre cose e altri luoghi!
Non una vita! Non la mia almeno!
Oh, essere il vento, un’ala,
un veliero che mi portino lì!
Dove? Se lo sapessi,
non ci vorrei andare.
Da IL LAGO LUCENTE
…..
212 (406)
…
Quante volte ho sentito ripetere la stessa frase che simboleggia tutta l’assurdità, tutto il nulla, tutta l’ignoranza parlata delle loro vite. È quella frase che utilizzano a proposito di qualunque piacere materiale: “è ciò che uno si porta via da questa vita…” Porta dove? Porta in che luogo? Porta perché?
…
…..
FERNANDO PESSOA
NAVI FELICI, CHE DAL VAGO MARE…
(Ó naus felizes, que do mar vago…)
Navi felici che dal vago mare
finalmente tornate al silenzio del porto
dopo tanto notturno male –
il mio cuore è un morto lago,
e sulla sponda triste del lago morto
sogna un castello medievale…
E in questo, ove sogna, castello triste,
non sa indovinare la, dalle belle mani
senza gesto o colore, triste castellana
che un porto di là rumoroso esiste,
donde le navi nere e silenziose
si partono quando è giorno sul mare…
Non sa neppure che c’è il castello triste
ove sogna… Il suo spirito asceta
per nulla esterno è vicino e reale…
E mentre ella così s’oblia, malinconica,
ritornano, vele sul mare lontane,
le navi al porto medievale…
Da POESIAS
…..
213 (409)
La lettura dei giornali, sempre penosa dal punto di vista estetico, spesso lo è anche da quello morale, perfino per uno che abbia scarsi scrupoli morali.
Le guerre e le rivoluzioni (ce n’è sempre qualcuna in corso) a forza di leggerne le manifestazioni, non ci provocano più orrore, ma tedio. Non è la crudeltà di tutti quei morti e feriti, il sacrificio di tutti coloro che muoiono in combattimento o vengono uccisi senza combattimento che sono intollerabili; è la stupidità che sacrifica la vita e beni a un fine assolutamente inutile.
…
…..
FERNANDO PESSOA
ONDA CHE, AVVOLTA, TORNI…
(Onda que, enrolada, tornas…)
Onda che, avvolta, torni,
breve, al mare che ti portò,
e al recedere ti frastorni
come se il mare non fosse,
perché porti con te
solo la tua cessazione,
e, nel tornare al mare antico,
non porti il mio cuore?
È tanto tempo che l’ho
che mi pesa di sentirlo.
Portalo nel suono senza misura
con cui ti odo fuggire!
Da POESIAS
…..
220 (419)
21.6.1934
Visto che possiamo considerare questo mondo come un’illusione e un fantasma, potremmo considerare tutto quello che ci accade come un sogno, una cosa che ha finito di esserci perché dormivamo. E allora nasce in noi una indifferenza sottile e profonda verso tutte le sconfitte e i disastri della vita. Coloro che muoiono hanno girato l’angolo e perciò abbiamo cessato di vederli; quelli che soffrono ci passano accanto, se sentiamo, come in un incubo; se pensiamo, come un vaneggiamento sgradevole. E anche la nostra sofferenza non sarà altro che quel nulla. In questo mondo dormiamo sul lato sinistro e sentiamo nei sogni l’esistenza oppressa del cuore.
Nient’altro… Un po‘ di sole, un po‘ di brezza, alcuni alberi che incorniciano la distanza, il desiderio di essere felice, il dolore per i giorni che passano, la scienza sempre incerta e la verità sempre da scoprire… Nient’altro, nient’altro… Sì, nient’altro…
…..
FERNANDO PESSOA
SEMBRA CHE STIA RIPOSANDO…
(Parece que estou sossegando…)
Sembra che stia riposando:
starò forse per morire.
C’è una stanchezza nuova e dolce
di tutto quanto volli amare.
C’è una sorpresa di trovarmi
così disposto a sentire
Subito vedo un fiume
tra alberi luccicare.
E sono una presenza certa
il fiume, gli alberi e la luce.
Da POESIAS
…..
FERNANDO PESSOA
QUESTA SPECIE DI PAZZIA…
(Esta espécie de loucura…)
Questa specie di pazzia
che è poco chiamar talento
e che brilla in me, nell’oscura
confusione del pensiero,
felicità non mi porta;
perché, alla fine, sempre ci sarà
sole e ombra sulla città.
Ma in me non so quel che c’è.
Da POESIAS
…..
222 (427)
…
Sono come qualcuno che cerca a caso, senza sapere dov’è stato nascosto, un oggetto che non gli hanno descritto.
…
…..
ÁLVARO DE CAMPOS
(FERNANDO PESSOA)
NELLA CASA DI FRONTE A ME E AI MIEI SOGNI…
(Na casa defronte de mim e dos meus sonhos…)
Nella casa di fronte a me e ai miei sogni,
che felicità c’è sempre!
Vi abitano persone che non conosco, che ho già visto e non ho visto.
Sono felici perché non sono me.
I bimbi, che giocano sui poggioli alti,
vivono tra vasi di fiori,
senza dubbio, eternamente.
Le voci, che salgono dall’intimità domestica,
cantano sempre, senza dubbio.
Sì, devono cantare.
Quando c’è festa qua fuori, c’è festa là dentro.
Così dev’essere ove tutto si adatta:
l’uomo alla Natura, perché la città è Natura.
Che grande felicità non essere me!
Ma gli altri non sentiranno così anche loro?
Quali altri? Non ci sono altri.
Quello che gli altri sentono è una casa colla finestra chiusa,
e, quando si apre,
è perché i bimbi giochino sulla veranda con ringhiera,
tra i vasi di fiori che non vidi mai quali erano.
Gli altri non sentono mai.
Chi sente siamo noi,
sì, tutti noi,
perfino io, che ora non sento più nulla.
Nulla? Non so…
Un nulla che fa male…
Da POESIAS
…..
234 (492)
Il mondo esterno esiste come un attore su di un palco: sta lì, ma è un’altra cosa.
…..
FERNANDO PESSOA
VENTO CHE PASSI…
(Vento que passas…)
Vento che passi
nelle pinete,
quante sventure
ricordano i tuoi lamenti.
Quanta tristezza,
senza conforto
di pianto, grava
sul cuore.
E, vento errante
delle solitudini,
reca un sollievo
ai cuori.
Offri alla pena
che ignori i tuoi lamenti,
vento che piangi
nelle pinete.
Da POESIAS
…..
FERNANDO PESSOA
NULLA
Gli angeli vennero a cercarla.
La trovarono al mio fianco,
lì dove le sue ali l’avevano guidata.
Gli angeli vennero per portarla via.
Aveva lasciato la loro casa, il loro giorno più chiaro
ed era venuta ad abitare presso di me.
Mi amava perché l’amore
ama solo le cose imperfette.
Gli angeli vennero dall’alto
e la portarono via da me.
Se la portarono via per sempre
tra le ali luminose.
È vero che era la loro sorella
e così vicina a Dio come loro.
Ma mi amava perché
il mio cuore non aveva una sorella.
Se la portarono via,
ed è tutto quel che accadde.
Da QUATTRO LAMENTI